L’evocazione – The Conjuring

E’ un film del 2013 diretto da James Wan basato sulle esperienze realmente vissute da Ed e Lorraine Warren, che in precedenza avevano parzialmente ispirato Amityville Horror e The Haunting in Connecticut, il film è incentrato sul tentativo di una coppia di investigatori del paranormale di aiutare una famiglia da poco trasferitasi in una casa infestata. L’opera, la quale richiama il cinema horror degli anni ’70, è stata accolta da un ottimo riscontro sia di critica che di pubblico.

I produttori hanno annunciato l’intenzione di sviluppare anche uno o più sequel, sfruttando le numerose altre vicende in cui sono stati coinvolti i Warren.

(EN)

« There is something horrible happening in my house. » (IT)

« A casa mia sta succedendo qualcosa di orribile. »

(Carolyn chiedendo aiuto ai Warren)

Nel 1971, ad Harrisville, nel Rhode Island, Carolyn e Roger Perron si trasferiscono in un vecchio casale con le loro cinque figlie. Durante il primo giorno le cose sembrano andare per il meglio, anche se trovano la porta della cantina stranamente sprangata e il loro cane si rifiuta di entrare in casa. Il mattino dopo, Carolyn si sveglia con un misterioso livido e il cane viene ritrovato morto. Nei giorni a seguire nella casa si verificano varie forme di attività paranormale, le quali culminano con Carolyn che si ritrova intrappolata in cantina mentre una delle figlie viene attaccata da uno spirito somigliante ad una donna anziana; Roger intanto si trova spesso fuori casa per lavoro. Carolyn, sempre più spaventata, chiede quindi aiuto alla coppia di investigatori del paranormale Ed e Lorraine Warren, marito e moglie, lei anche chiaroveggente.

l-evocazione-the-conjuring-nuovo-trailer-spot-tv-immagini-e-locandina-dell-horror-di-james-wan-3Dopo delle indagini preliminari, i Warren spiegano che potrebbe essere necessario un esorcismo, il quale non potrà però essere effettuato senza ulteriori prove di una presenza demoniaca e l’autorizzazione della Chiesa cattolica. I due analizzano quindi la storia dell’abitazione, scoprendo che il casale apparteneva ad una presunta strega, Bathsheba, la quale si era suicidata impiccandosi all’albero antistante la casa, professando il suo amore per Satana e maledicendo tutti coloro i quali avrebbero posseduto la sua proprietà. Trovano anche resoconti di numerosi omicidi e suicidi avvenuti negli anni in case costruite sul terreno appartenuto alla presunta strega. Dopo aver appreso ciò, Ed e Lorraine ritornano nel casale per raccogliere prove allo scopo di ottenere l’autorizzazione per un esoricismo, accompagnati da un assistente di nome Drew e uno scettico polizitto locale, Brad. Durante il primo giorno non sembra accadere niente di strano, ma l’indomani ricominciano a manifestarsi presenze demoniache. Durante la notte, in particolare, una delle figlie, Cindy, sonnambula entra nella camera della sorella, con la porta della stanza che si chiude bruscamente dietro di lei. Quando gli adulti entrano nella camera, Ed trova Cindy nascosta in un passaggio segreto dietro l’armadio. Subito dopo, Lorraine ispeziona tale passaggio, trovando la corda per impiccagione usata da Bathsheba, per poi cadere attraverso il pavimento nella cantina, nella quale ha delle visioni su di lei e su un altro spirito. Si tratta di una madre che Bathsheba aveva posseduto per uccidere il rispettivo figlio.

Successivamente, Ed e Lorraine riportano i fatti alla Chiesa, mentre la famiglia Perron si rifugia in un hotel. Intanto, anche la figlia dei Warren, Judy, viene attaccata da forze soprannaturali. Più tardi, Carolyn si ritrova posseduta e ritorna nella casa portando con se due delle sue figlie, Christine e April. Appena saputo quello che stava avvenendo, i Warren si affrettano a ritornare nel casale, dove trovano Carolyn che tenta di accoltellare Christine, mentre Drew e Roger cercano di trattenerla. Dopo che Carolyn viene immobilizzata, Ed decide di eseguire l’esorcismo da solo. Tuttavia la donna, ancora posseduta, si libera e prova ad uccidere April. Lorraine riesce però a fermarla, consentendo al marito di completare l’esorcismo.

La trama del film, noto anche con il titolo di lavorazione The Warren Files, è ispirata dalle vicende che hanno realmente coinvolto la coppia di investigatori del paranormale Ed e Lorraine Warren prima del più noto caso reso celebre dalla saga cinematografica di Amityville.

L’idea di narrare in un film il caso della famiglia Perron, uno dei tanti con cui hanno avuto a che fare i Warren, fu lanciata dallo stesso Edward Warren circa venti anni prima dell’inizio della produzione di L’evocazione – The Conjuring, quando si era messo in contatto con il produttore Tony DeRosa-Grund[3]. Dopo aver esaminato alcune registrazioni di Edward, DeRosa-Grund scrisse un primo trattamento intitolato The Conjuring, ma per diversi anni non riuscì a trovare una casa di produzione interessata al progetto. In seguito, tuttavia, trovò la collaborazione del produttore Peter Safran e degli autori Chad e Carey Hayes[3]. Nel 2009 i diritti furono acquistati dalla Summit Entertainment, la quale non rimase però soddisfatta della sceneggiatura dei fratelli Hayes; lo studio indipendente cedette quindi i diritti alla New Line Cinema. Nel mese di giugno 2011 la New Line Cinema confermò l’intenzione di produrre il film, il quale nel frattempo aveva cambiato temporaneamente il titolo di lavorazione in The Warren Files, affidando la direzione del progetto a James Wan, già regista di Saw – L’enigmista e Insidious.

Levocazione-The-Conjuring-nuovo-trailer-spot-tv-immagini-e-locandina-dellhorror-di-James-Wan-620x350Il trattamento originale scritto da DeRosa-Grund prevedeva che la storia fosse raccontata solo dal punto di vista della famiglia Perron. I fratelli Hayes, invece, scelsero di scrivere la sceneggiatura offrendo la prospettiva di tutte e tre le famiglie protagoniste della pellicola: i Warren, i Perron e quella demoniaca. Inoltre, preferirono che il punto di vista narrativo principale fosse quello dei Warren, in particolare di Lorraine; ciò, per i due autori, avrebbe reso la storia più avvincente e diversa rispetto quella classica di una famiglia ritrovatasi nella casa sbagliata, già vista in molti film antecedenti. Altro aspetto accattivante della trama, secondo i fratelli Hayes, è rappresentato dal fatto che i protagonisti sono personaggi realmente esistenti.

Per quando riguarda il tema spirituale affrontato dal film, secondo Chad e Carey Hayes la fede è l’elemento centrale dell’opera. I due spiegarono di aver voluto mostrare come, per quanto si possa essere spaventati dalle oscurità dell’universo, la fede può aiutare e portare sollievo. Se da un lato il film si propone quindi di intrattenere il pubblico spaventandolo, da un altro offre anche un messaggio rassicurante: Dio prevale sempre sul male.

Fonte Wikipedia

Fatti Maledetti

La maledizione del Faraone

Al nome Tutankhamon è legata la più favolosa scoperta d’Egitto. La sua tomba fu infatti ritrovata intatta da Howard Carter nel 1922. Le immagini del favoloso tesoro e la leggenda della maledizione del faraone fecero il giro del mondo. La morte di Tutankhamon è avvolta nel mistero. La sua prematura scomparsa è, per molti, la dimostrazione che il giovane faraone fu assassinato. Alcuni esami effettuati sul cranio di Tutankhamon hanno rivelato la presenza di un buco probabilmente provocato da un corpo estraneo. La calcificazione di tale buco conferma ulteriormente questa teoria. Tutankhamon sarebbe dunque stato ucciso forse perché aveva deciso di seguire le orme del suo predecessore Akhenaton? Ma da chi? I maggiori indiziati, secondo gli studiosi, sono Ay, suo successore al trono, e Horemheb, successore di Ay e potente capo militare. Oltre ai misteri legati alla morte di Tutankhamon, ve ne sono altri riguardanti la sua tomba: come fu possibile allestire in così breve tempo una tomba di così grande splendore?

Un’ipotesi molto interessante viene promossa da Nicholas Reeves. Egli sostiene che fu il nuovo faraone Ay ad occuparsi, come di rito, della degna sepoltura del suo predecessore. I nove anni di regno non furono sufficenti a preparare una tomba nuova, per cui Ay decise di adattarne una a Tutankhamon. Le ricerche di Reeves indicano nelle tombe di Akhenaton e Nefertiti quelle più indicate ad ospitare il corpo di Tutankhamon. I tesori di queste due tombe vennero perciò trasportati in quella di Tutankhamon. Nella tomba del giovane faraone vennero infatti rinvenute statuette dai lineamenti prettamente femminili e incisioni cancellate e adattate al nome di Tutankhamon. La famosa maschera d’oro, ad un attento esame, presenta una spaccatura tra il volto e il copricapo. Questo, sempre secondo Reeves, dimostrerebbe che la maschera sarebbe stata originariamente quella di Akhenaton a cui sarebbe stato rimosso il volto in modo da applicare quello di Tutankhamon. In questo modo Nicholas Reeves spiegherebbe come fu stato possibile allestire la tomba del faraone nell’arco dei 70 giorni necessari alla mummificazione del corpo.

Londra_TutankhamonQuando nel 1922 Howard Carter, accompagnato da Lord Carnarvon (il finanziatore degli scavi), entrò nella tomba del faraone, oltre a vedere “cose meravigliose”, notò anche altri curiosi particolari. Trovò una tavoletta su cui era impressa una maledizione: “La morte colpirà con le sue ali chiunque disturberà il sonno del faraone”. Ma non è tutto. In un angolo della camera funeraria, trovò un altro piccolo sarcofago, nel quale rinvenne un’altra mummia, ma molto più piccola di quella del giovane Tutankhamon. Poteva essere la mummia del figlio morto precocemente? Sta di fatto che, pur essendo una mummia molto piccola, gli arti di questa erano completamente sviluppati. Ma allora, se non si trattava della mummia del figlio del faraone, di cosa si trattava? Carter fece appena in tempo a fotografare tali reperti, perché durante il trasporto verso il museo del Cairo, sia la tavoletta che la piccola mummia scomparvero per sempre. Ci sono persone ancor aggi che credono che quella mummia fosse stata quella di un alieno, lo stesso essere extraterrestre già adorato da Akhenaton, il dio per cui questo faraone, pochi anni prima, aveva sconvolto la sfera religiosa egiziana, sostituendo al politeismo, un enoteismo in cui il dio Aton (il disco solare) doveva essere l’unico dio. Comunque sia, la maledizione colpì davvero molti che avevano lavorato allo scavo di questa tomba (la 62 della Valle dei Re). Lord Carnarvon fu uno dei primi a morire. Quando morì, andò via la luce in tutto il Cairo e a Londra, in quello stesso istante, morì anche il suo cane. Pochi istanti dopo, morì anche il suo segretario in circostanze misteriose. Si cercò di dare una spiegazione scientifica a questa “maledizione”, già anticipata nel 1949 dallo scienziato Louis Bulgarini.

Studiosi odierni, partendo da questa sua ipotesi, sostengono che gli egizi usarono per i pavimenti e le mura delle tombe, rocce contenenti uranio. All’interno di sette antichi monumenti sono state trovate tracce di radon, un gas radioattivo incolore e inodore che si forma in seguito al decadimento dell’uranio. La concentrazione di tale gas era trenta volte superiore alla soglia di attenzione (mentre la soglia limite è di 200 becquerel, la concentrazione nelle tombe è di 816/5809 becquerel). Tale concentrazione porta vari malesseri ma soprattutto al rapido sviluppo di tumore ai polmoni.

Si pensa che nella tomba del Re bambino chiusa da 3000 anni la concentrazione fosse ancora più alta. Ma è anche vero che Howard Carter, l’archeologo che per primo avrebbe dovuto morire, visse invece diversi anni più del suo finanziatore. Morì solo di recente e per vecchiaia, come se la maledizione non l’avesse nemmeno sfiorato. Il mistero della maledizione del faraone rimane così ancora un mistero.

 

Strane Sparizioni, Strane Comparse

Jean-Francois de Galaup, conte di La Pérouse salpò da Brest, un porto francese nel 1785. Il suo viaggio sarebbe dovuto durare quattro anni e nel 1789 le sue due navi avrebbero dovuto arrivare a destinazione nell’Oceano Pacifico, attraversando l’Atlantico. Furono avvistate per l’ultima volta mentre erano dirette a nord-est dell’Australia, poi però svanirono nel nulla senza lasciare la minima traccia e con loro, i quattrocento uomini dell’equipaggio. Non furono mai più ritrovati. Come è possibile ciò? Come possono due navi scomparire senza lasciare alcuna traccia? Eppure, non è un caso unico. Anzi, nella storia dell’umanità, sono molti i casi di sparizioni anomale, e non interessano solo navi, ma anche persone, aerei, a volte intere squadriglie d’aerei, tesori, intere città e perfino interi eserciti. Che fine fece la colonia inglese dell’isola di Roanoke, fondata nel 1587 da Sir Walter Raleigh? Scomparve nell’arco di tre anni lasciando solo qualche lieve traccia, eppure era abitata da oltre cento coloni. Un altro caso di scomparsa misteriosa è quella relativa al musicista Glenn Miller. Fu ritenuto disperso verso la fine della Seconda Guerra Mondiale mentre dall’Inghilterra si recava in Francia per lavoro su un piccolo aereoplano, ma di fatto, di quell’aereo non fu trovata alcuna traccia.

satorIl quadrato magico del “SATOR”

In diverse città d’Italia è stato ritrovato l’enigmatico “quadrato magico” del “Sator”, cui struttura polindromica ha fatto impazzire chi di volta in volta si è cimentato nel capirci qualcosa. Il quadrato ha la particolarità di essere formato da parole che si incastrano l’una all’altra in modo da poter essere lette sia da destra che da sinistra, dall’alto o dal basso, sempre allo stesso modo. Ne esistono esemplari in quadrati ma anche in cerchi concentrici. Ne è stato anche trovato uno tra le rovine di Pompei. La leggenda dice: “Colui che risolverà il mistero del quadrato magico diventerà il padrone del mondo”. Certi studiosi collegano il quadrato magico all’ordine Templare, ma altri obiettano, insistendo sul fatto che dev’essere più antico (visto che già esisteva al tempo in cui Pompei fu sommersa dalle ceneri del Vesuvio). Altri vi leggerebbero all’interno delle parole latine di significato cristiano (Paternoster. Oppure la frase: Sator opera tenet, cioè, il seminatore possiede le opere, ovvero Dio è il Signore del creato).

LISTA DEI QUADRATI MAGICI D’ITALIA – Esiste un quadrato magico in ognuna di queste città italiane:

– Pescarolo e Uniti (CR), Pieve Terzagni;

– Collepardo (FR), nella farmacia della Certosa;

– Bolzano, Castel Mareccio;

– Sermoneta (LT), Abbazia di Valvisciolo;

– Verona, Palazzo Benciolini;

– Capestrano (AQ), Chiesa di S.Pietro ad Oratorium;

– Siena, Duomo di S.Maria Assunta;

– Magliano de’Marsi (AQ), Chiesa di S.Lucia;

– Urbino (PS), Canavaccio, Chiesa di S.Andrea in Primicilio;

– S.Felice del Molise (CB), Chiesa di S.Maria Ester di Costantinopoli;

– Marischio, nella piccola chiesa di Santa Maria Plebis Flexiae, nei pressi di Fabriano (AN);

– Pompei (NA), Casa di P.Paquio Proculo;

– Ascoli Satriano (FG), sulla Cattedrale.

 

La Storia di Faust e del suo patto con Mefistofele

“Storia del dottor Johann Faust, ben noto mago e negromante, di come si è promesso al diavolo per un determinato periodo della sua vita, di quali straordinarie avventure egli fu protagonista o testimone, fino al momento in cui ricevette la ben meritata mercede. … un esempio orrendo per tutti i superbi, i saccenti e gli empi, un esempio disgustoso oltre che amichevole ammonimento … Siate sottomessi a Dio, combattete il diavolo, cosicché egli fugga da voi.”

“Quando fu giorno si recarono nella stanza dove era stato il dottor Faust. Trovarono tutta la stanza imbrattata di sangue, il cervello era spiaccicato alla parete poiché il diavolo lo aveva sbattuto da una parete all’altra, vi erano pure i suoi occhi e molti denti sparsi qua e là, lo spettacolo era tremendo e pauroso. Trovarono infine il suo corpo fuori accanto al concime, orribilmente sfigurato, con la testa e le membra ciondolanti”. (da: “Storia del dottor Johann Faust”, 1587)

FAUSTLa terribile “Historia Doctoris Johannis Fausten” pubblicata a Francoforte dall’editore Spies in forma di libro popolare nell’anno del Signore 1587 rispecchia e sintetizza una serie di leggende preesistenti in terra germanica: la Historia narra di un mago di nome Faust, dalla nascita fino alla morte, passando per lo scellerato patto con il diavolo, vera e propria koinè della cultura di lingua tedesca.

Il mago, negromante, alchimista, di cui si narrano le vicende nel Volksbuch, racchiude in sé molti dei tratti comuni a diverse figure storiche realmente esistite: dal medico austriaco Paracelo al Conte di Cagliostro, facendo però esplicito riferimento alla figura di un certo Johannes Faust (che si autoproclama Sabellicus nei suoi scritti), vissuto tra Heidelberg e la Foresta nera nel XV secolo, le cui vicende erano già testimoniate da precedenti testi tedeschi a partire dall’inizio del XVI secolo. Alcune fonti parlano di un mago di nome Georg, altri di Johannes Faust. Alcuni storici arrivano supporre la coesistenza di due maghi diversi, poi sintetizzati in un’unica figura. Altra teoria è quella che fossero due cugini che si spostavano da una città all’altra, da un’università all’altra predicendo il futuro e compiendo mirabilia.

Alcuni documenti del municipio di Ingolstadt citano un tal Johannes Faust nato a Heidelberg, altre fonti lo vogliono di Württemberg nato attorno al 1480. “Quell’uomo, del quale tu mi scrivi, che ebbe la sfrontatezza di definirsi principe dei negromanti, è un vagabondo, chiacchierone e giramondo, degno di essere frustato” (Dalla lettera di un abate, 1507).

Georg (o Johann) Faust nasce nel 1480 a Knittlingen (Württemberg). Fa il maestro di scuola girando per tutta la Germania. Dopo fa il mago, forse anche il medico e il barbiere (che nel ‘500 era spesso la stessa persona che, in caso di necessità, faceva anche il dentista) e il consigliere di varie corti. Viaggia sempre e opera incantesimi. Più volte viene cacciato via da una città perché accusato di sodomia, pedofilia o di aver portato male a qualcuno. Ricorre spesso a soprannomi per mascherare le precipitose partenze oppure la presenza stessa in una città dove aveva commesso qualche misfatto. Si dice che a Krakau insegnava la magia. Già quando era ancora in vita cominciarono a formarsi le leggende più avventurose intorno a lui ed è difficile separare verità e invenzioni. Faust muore attorno al 1540 a Staufen (Breisgäu). Non sono dei ritratti molto lusinghieri che le fonti dell’epoca tracciano del personaggio storico di Faust.

In verità, di lui si sa poco di sicuro.

Faust avrebbe comunque – per la maggior parte dei biografi – studiato magia a Cracovia, dove poi la insegnò pubblicamente (in odore d’eresia..), morendo nel 1540 in una notte di tempesta, trasportato con tutto il corpo all’inferno da Mefistofele, il demone con cui 24 anni prima aveva stretto un patto dannato.

La leggenda di Faust giunge quasi immediatamente oltre Manica, fino a Christopher Marlowe. Di tale leggenda si occupa anche il genio di William Shakespeare. L’altro autore europeo che sarà segnato irrimediabilmente dal mito di Faust è Johann Wolfgang von Goethe (1749/1832). Nel poema in due parti su Faust, Goethe ha fuso le testimonianze sulla vita del Dottor Faust, tramandate in un libro popolare del XVI secolo, con il motivo del patto col diavolo diffuso nel medioevo. Negli anni tra il 1773 e il 1775, l’autore ne redige una prima stesura, detta Urfaust (Faust originario); il mago scienziato del Volksbuch viene trasformato in una personalità geniale e titanica che anela alla realizzazione piena e totale della vita e dei sensi. Due sono i nuclei tematici: il vecchio Faust che, insoddisfatto delle proprie conoscenze e della propria vita, stringe il patto con il diavolo, che lo ringiovanisce, e la tragica vicenda amorosa di Gretchen, la semplice fanciulla del popolo, sedotta e resa madre dal protagonista. Durante il viaggio in Italia, Goethe riprende in mano il romanzo, per pubblicarlo nel 1790 con il titolo Faust, ein Fragment (Faust, un frammento). Solo nel 1808 apparirà la versione definitiva di Faust. Der Tragödie erster Teil (Faust. Prima parte della tragedia), dove la vicenda di Gretchen si amplia maggiormente.

Il Faust è l’opera più famosa di Goethe ed era anche l’opera della sua vita: dai primi frammenti al termine della seconda parte dell’opera passarono 60 anni, in cui si susseguono varie versioni, anni di febbrile lavoro e decenni di interruzioni, in cui Goethe ha altri progetti. Faust è uno scienziato, insoddisfatto dei limiti del sapere umano che vende l’anima al diavolo per avere in cambio tutto quello che vuole, amore, gioventù e conoscenza dei segreti della vita. Ma Goethe non vede in Faust il grande peccatore come lo voleva la tradizione popolare. Per lui è giusto che l’uomo tenda sempre più ad elevarsi.

Goethe conobbe Faust per la prima volta in uno dei tanti spettacoli popolari di attori viaggianti che rappresentarono queste storie fantastiche nelle piazze. E così “lo spaccone degno di essere frustato” del ‘500 entrò nella grande letteratura.

Ma l’uomo di quell’epoca doveva capire che uno come Faust che vendeva la sua anima al diavolo per avere in cambio conoscenze, oltre che una bella vita, doveva fare la fine più crudele e sanguinosa che si potesse immaginare. L’uomo non doveva voler superare i limiti dello stretto mondo medievale. Le prime storie di Faust erano di chiara ispirazione religiosa, dovevano mettere in guardia il lettore: attenzione, il diavolo che ti tenta è sempre in agguato! Il libro ebbe un enorme successo, successivamente uscirono sempre nuovi libri con “nuove storie” del dottor Faust, era una specie di “telenovelas” del ‘500. Divenne per due secoli uno dei miti popolari più diffusi e amati.

Quello che affascinava erano piuttosto le infinite possibilità che si aprono quando, con questo patto, si va oltre i limiti intellettuali e fisici dell’uomo. Il problema che si ponevano tutti, anzi che spesso sta al centro del mito del Faust, è questo: è bene o male se l’uomo vuole più dalla vita di quello che gli dà la natura. Per Goethe, che voleva penetrare tutto con la luce della ragione, quest’aspirazione dell’uomo a voler andare continuamente oltre i propri limiti non poteva che essere positiva.

Sciamanesimo, la trance

LA TRANCE SCIAMANICA

di Fabio Riva

“…Il nome ‘sciamano’ è di origine tungusa ed è giunto in occidente tramite la resa russa saman del termine tunguso. Non è da escludere che il termine tunguso sia a sua volta di origine sanscrita: tunguso saman< sansc. sramana- ‘asceta buddista’, sramanera- ‘monaco’, forse con mediazione cinese (sha-men?). Questa è la spiegazione dell’origine del termine oggi più o meno universalmente accettata…” (Marazzi, 1984:21).

Attualmente questo termine serve a designare l’operatore di pratiche, caratterizzate dal culto della natura e dalla cre-denza negli spiriti, che si riscontrano in tutte le parti del mondo.

Tecnici dell’Estasi.

In questo paragrafo analizzeremo, con i dati bibliografici a nostra disposizione, i tratti essenziali e distintivi dello scia-manismo.

In primo luogo emerge uno specifico comportamento estatico all’interno di un complesso magico-rituale.

“… In tutta quest’area immensa che comprende il centro e il nord dell’Asia, la vita magico-religiosa della società s’incentra sullo sciamano. Ciò non equi-vale certo a dire che egli sia il solo e unico manipolatore del sacro, né che l’attività religiosa sia totalmente mono-polizzata dallo sciamano… Tuttavia lo sciamano resta la figura predominante: perché in tutta questa zona ove l’espe-rienza estatica è considerata l’espe-rienza religiosa per eccellenza; lo scia-mano, e soltanto lui, è il grande maestro dell’estasi. Una prima definizione di questo fenomeno complesso, quella, forse, che, ancora, è la meno azzardata, po-trebbe essere: sciamanismo = tecnica dell’estasi …” (Eliade,1988:22).

Per Ugo Marazzi, l’estasi è il mezzo peculiare con cui lo sciamano instaura il suo contatto con le potenze soprannatu-rali.

“… La trance sciamanica costituisce un’estasi sui generis…Essa è composta da due esperienze diverse: la prima è co-stituita dal volo extracorporeo dello sciamano assistito dai suoi spiriti adiu-tori, la seconda viene attuata in loco attraverso le informazioni fornite allo sciamano dagli stessi spiriti…” (Marazzi , 1984: 13)

Le principali forme, o tipi fondamentali, di estasi sciama-nica possono, secondo Mastromattei R., essere ridotte a tre:

….

“1) La condizione estatica legata alla crisi, alla ‘chiamata’ da parte degli spiriti (o degli déi);

2) la condizione estatica in cui lo sciamano, ormai maturo ed esperto, si può trovare nel corso della sua vita senza essere osservato da alcuno;

3) la condizione estatica quale si presenta nel corso di riti aperti al pubblico… ” (Mastromattei, 1988:17).

In secondo luogo si ha un rapporto con alcune attività economiche, connesse in prima istanza con la caccia e la rac-colta, quindi con l’allevamento e, successivamente, con l’agri-coltura. Tale rapporto, per altro, viene istituito tra gli sciamani e gli spiriti con tratti teriormorfi, antropomorfi e demoniaci, non-ché con divinità propriamente dette, che presiedono a deter-minate sfere.

“… L’essenza stessa dell’ideologia sciamanica va ricondotta all’orizzonte concettuale del mondo dei cacciatori, a un mondo dominato dall’idea degli animali e degli spiriti zoomorfi. L’ideologia della caccia si riflette nelle idee della morte dello sciamano e della sua resurrezione ad opera degli spiriti alla fine del periodo di vocazione…” (Marazzi, 1984:12).

È l’osso, lo scheletro nelle culture dei cacciatori a simbo-leggiare la radice ultima della vita animale, la matrice da dove sorge continuamente la came. Gli animali e gli uomini rina-scono a partire dall’osso; essi permangono qualche tempo al-l’esistenza carnale, e, quando muoiono, la loro vita si riduce al-l’essenza concentrata nello scheletro, da dove nasceranno di nuovo.

“… Ridotti allo scheletro i futuri sciamani provano la morte mistica che permette loro di accedere, all’altro mondo, il mondo degli spiriti degli ante-nati, e di condividere la loro scienza. Essi non nascono di nuovo; sono rivivifi-cati, il loro scheletro è ricondotto alla vita con una nuova carne…” (Eliade, 1974:142).

Si tratta di un’idea religiosa nettamente distinta dall’ideologia degli agricoltori; questi ultimi vedono nella terra la sorgente ultima della vita e, di conseguenza, considerano il corpo umano come il seme che deve essere sotterrato per po-ter germogliare.

Mastromattei R. (1988), però afferma che parlare di nessi vincolanti e diretti, di tipo realistico, tra sciamanismo e attività economiche, ovvero caricare lo sciamanismo di preoccupazioni sociali immediate, significa forzare indebitamente il senso di tutte le testimonianze di cui si dispone.

In terzo luogo si ha un rapporto con la sfera della morte, che comprende ogni sorta di esseri extraumani, oltre alla co-munità dei morti dove lo sciamano esercitava la sua funzione di psicopompo.

“… Lo sciamano è lo psicopompo che accompagna l’anima del defunto nella sua nuova dimora. E’ questo il compito più importante presso certi gruppi tungusi, come i goldi del bacino del d’Amur, ed è uno dei principali presso gli altai, i nentsi (samoiedi) e i nanai (tungusi)…” (Marazzi 1984:10).

Tale funzione deriva dall’ambivalente comportamento dei membri del gruppo nei confronti dei defunti, caratterizzato da terrore per i morti recenti e da venerazione per quelli morti da un certo tempo, i quali diventano spiriti protettori della famiglia. L’accompagnare i defunti alla loro dimora è una precauzione presa per impedire il loro ritorno fra i vivi: non ancora aggregato ai trapassati, lo spirito dell’individuo morto di recente potrebbe infatti aggirarsi nel villaggio alla ricerca di parenti da condurre con sé.

L’attività terapeutica dello sciamano,

“… Che non e semplicemente un protome-dico … ” (Mastromattei, 1988:16).

appartiene a questa sfera: egli non tenta di curare le malattie come tali, ma quali conseguenze della perdita o del furto dell’anima. II recupero di quest’anima può implicare un volo verso i Cieli o una discesa agli Inferi da parte dello scia-mano e costituisce uno dei tratti caratteristici della sua perso-nalità.

“… Lo sciamano è il medico. Egli com-pie la diagnosi della malattia, a tal fine invocando gli spiriti. La malattia insorge per due ragioni principali: per-dita dell’anima e intrusione.

Con la perdita dell’anima, l’anima del malato abbandona il corpo e si perde o viene rubata dagli spiriti maligni, spesso quelli della morte. In caso di in-trusione, un oggetto, o uno spirito è pe-netrato nel corpo del paziente. Di solito con la perdita dell’anima si ha la per-dita parziale o totale della coscienza (coma, febbre, delirio ecc.); con l’in-trusione invece si hanno danni fisici e disturbi che non implicano alterazione della coscienza. Lo sciamano in caso di perdita dell’anima, viaggia in forma ex-tracorporea nell’altro mondo per cattu-rare l’anima del malato dagli spiriti che la trattengono… In caso di intrusione, lo sciamano invoca i suoi spiriti adiu-tori affinché lo aiutino a espellere l’oggetto o lo spirito penetrato nel ma-lato… ” (Marazzi , 1984: 10) .

In qualità di divinatore lo sciamano viene interpellato sia per chiarire fatti del passato poco conosciuti, sia per localizzare persone o oggetti smarriti, sia per vaticinare gli avvenimenti futuri. Tutte le decisioni del gruppo vengono filtrate attraverso la persona dello sciamano: incaricato di vagliare la disposizione degli spiriti, può acquistare un enorme peso politico.

In quarto luogo si ha la conoscenza e l’uso di un ricco retaggio mitologico, affidato in origine a una tradizione orale che si riflette e si esprime flessibilmente nel dinamico e creativo rituale sciamanico. Questo rituale viene celebrato in una con-dizione estatica di variabile intensità e durata e può implicare gravi rischi per lo sciamano.

In quinto luogo si ha, in particolare per lo sciamanismo asiatico, la presenza del motivo della lavorazione del ferro strettamente legata all’iniziazione del neofita, nonché ai suoi oggetti (parafernali) e attributi, che rivestivano grande impor-tanza nel rituale sciamanico. Questi aspetti banausici, tutt’altro che secondari – il candidato sciamano veniva dapprima smem-brato, poi ricomposto e forgiato da fabbri mostruosi per assu-mere la sua nuova identità – non potevano evidentemente es-sere stati presenti fin dalle origini, né si possono ritrovare presso tutte le culture sciamaniste.

In sesto luogo si ha un rapporto costante con la musica; è impossibile concepire una seduta sciamanica priva di mu-sica, o almeno di una qualche espressione ritmico-gestuale; appartengono alle competenze riconosciute agli operatori esta-tici la conoscenza dei gesti da compiere nelle diverse cerimo-nie oltre al contenuto dei canti d’accompagnamento alle azioni rituali.

Allo strumento sciamanico per eccellenza, il tamburo sulla cui pelle si ritrova il simbolismo dell’albero del mondo, l’axins mondi che permette il collegamento tra i tre stati cosmici (cielo-terra-inferi) in cui è suddiviso l’universo, viene attribuita una vera personalità e un suo arco vitale.

Analizzando il tipo di rapporto, che si instaura tra la mu-sica ritmica e percussiva del tamburo e lo scatenamento della trance, durante quella che costituisce generalmente la prepa-razione al viaggio estatico, quando cioè lo sciamano suona lo strumento, Rouget in “musica e trance” prende le distanze dalla prospettiva neurofisiologica che vede nello strumento in sé particolari capacita incantatorie: si riferisce, in particolare, alla teoria messa appunto da Neher , secondo la quale l’in-termittenza e la predominanza delle frequenze basse inne-scherebbero fenomeni di trascinamento (driving) dei ritmi alpha cerebrali, generando in tal modo atti convulsivi. Altrettanto infe-conde sembrano essere, secondo Rouget, sia la teoria elabo-rata da Herskovits , secondo la quale allo stimolo costituito dalla musica percussiva corrisponderebbe la trance come ri-flesso condizionato, sia l’ipotesi di Zempleni che connette le perturbazioni provocate dalla musica ad una autostimolazione vestibolare che conduce ad uno spossamento muscolare e ad un disorientamento spaziale estremo.

“… Se la drammatizzazione della mu-sica mediante accelerando e crescendo svolge molto spesso un ruolo importantis-simo nello scatenamento della trance, questa regola è lungi dall’essere asso-luta… ” (Rouget, 1966: 122).

Tale presa di posizione si basa sulla constatazione, in-confutabile, dell’assenza della trance in molte situazioni analo-ghe. L’azione del ritmo della musica percussiva sulla trance non è quindi riconducibile, secondo l’autore, al solo livello fisio-logico:

“… Tutto indica che i rapporti tra ritmo e trance sono da collocarsi sul piano della cultura e non già della na-tura…” (Rouget,1966:128).

È l’incorniciare l’emissione musicale in un rito entro il quale cadono le censure abituali a rivelarsi determinante: il messaggio musicale contestualizzato in una situazione rituale come la seduta, ha un impatto psicologico sul soggetto che di per sé si predispone alla trance e crea uno stato emotivo favo-revole al salto.

“… E’ nella misura in cui è espres-sione di una cultura che la forma musi-cale tocca o addirittura sconvolge… ” (Rouget, 1966:403).

Concordiamo qui con Rouget nella misura in cui assu-miamo che elementi di ordine psicologico e emozionale con-corrono insieme ad elementi di ordine fisiologico nel determi-nare lo stato di trance.

La spinta emotiva, culturalmente legittimata, connessa al significato della trance veicolata dal tamburo, permettendo la trasposizione del mondo mitico rappresentato sul piano dell’in-contrato, rendendo possibile il ritorno di un tempo e di uno spazio perduti.

II tamburo viene cosi a delinearsi secondo un enfatica, ma incisiva espressione di Schneider come:

“… L’altare sacrificale su cui l’uomo sacrifica la forviante molteplicità delle impressioni sensibili. riconoscendo nel ritmo puramente periodico la norma ultima e suprema a cui ogni evento mondano è sottomesso… Lo sciamano può intendersi allora come risonatore cosmico e il tam-buro stesso come microcosmo…” (Schneider, 1979).

 

Rituale sciamanico.

I rituali sciamanici diagnostici, terapeutici e divinatori nella forma a noi nota attraverso le testimonianze di numerosi informatori, viaggiatori, missionari, studiosi, nonché grazie alle descrizioni di sciamani, comprendono essenzialmente due aspetti, due momenti fondamentali:

a) un culto oggettivo in cui si rivolgono preghiere e sacri-fici a entità sovrannaturali, senza entrare in contatto in-timo con esse;

b) un culto di identificazione, in cui lo sciamano di fatto mima con particolare intensità tratti e comportamenti ca-ratteristici di tali entità. Questa fase travalica ampiamente i limiti della semplice impersonificazione a fini rituali o profani: secondo ogni evidenza, lo sciamano è solo par-zialmente libero di scegliere un ruolo interpretativo e di fatto impersona e mima figure e situazioni che gli si pre-sentano come visioni non dei tutto controllabili.

Un ruolo essenziale, specie nella fase di identificazione, è giocato dall’assistente, che può essere sia un apprendista o un semplice laico che, moderando e sorvegliando il comporta-mento estatico dello sciamano cerca di garantire il suo ritorno nella realtà quotidiana e comunitaria dopo il viaggio nel mondo degli spiriti.

Seduta sciamanica classica.

“… La seduta sciamanica (detta kamla-nie con un neologismo russo a partire dal termine qam ‘sciamano’, proprio dei tur-chi della Siberia meridionale) si arti-cola di solito, ma non necessariamente sempre, nelle seguenti fasi:

a) fase preparatoria;

b) invocazione degli spiriti adiuto-

ri;

c) viaggio sciamanico;

d) congedo dagli spiriti adiutori;

e) altre pratiche;

f) chiusura della kamlanie…”

(Marazzi , 1984: 17) .

Lo schema di una seduta sciamanica classica, con parti-colare riferimento alla condizione estatica, può essere il se-guente:

I) Decisione di organizzare la seduta, a seguito di uno scambio di idee tra sciamano e membri della comunità o di una risoluzione personale dello sciamano stesso.

II) Preparazione e messa in scena che comprendono:

a) l’eventuale scelta dell’animale sacrificale;

b) del luogo dove si celebrerà la seduta (di norma un’abitazione privata appartenente allo sciamano, o al paziente o una terza persona);

c) disposizione degli oggetti rituali o purificazione del luogo prescelto e dello stesso celebrante. Particolare cura è riservata alla preparazione del tamburo che viene scaldato e deumidificato, in modo da garantire una ade-guata sonorità;

Vestizione rituale dello sciamano.

Si attende il calar delle tenebre: lo sciamano allora si siede al posto a lui rigorosamente riservato e comincia a concentrarsi. Dopo un certo tempo comincia a suonare il tamburo e a oscillare col corpo, cantando (e non sempli-cemente recitando) le invocazioni agli dei o spiriti adiu-tori. II pubblico può ripetere, sempre cantando, queste formule.

Lo sciamano annuncia l’arrivo degli spiriti.

“… L’arrivo degli spiriti adiutori segna l’inizio della trance nel corso della kamlanie: essi portano messaggi dal mondo degli spiriti, essi assistono lo sciamano nel suo viaggio verso il regno soprannaturale. A volte lo sciamano li imita, a volte adombra la loro azione in-nalzando piccole immagini di legno (o al-tro materiale n.d.c.) che li ritraggono…” (Marazzi, 1984:11)

Quando ne mima vividamente comportamento e caratte-ristiche egli effettua: sibili, cinguettii, latrati, grugniti, movimenti striscianti, battiti di ali, un digrignare di denti, un grufolare e al-tro. L’intensità di questa imitazione, quale ci è descritta dagli osservatori, fa pensare che già in questo stadio lo sciamano ” non sia più sé stesso ”, sia in qualche modo fuori di sé, in quanto ha raggiunto una condizione, anche se non estrema, estatica.

Garantitasi la presenza dei suoi spiriti adiutori, lo scia-mano è pronto ad affrontare, se necessario, il viaggio nei cieli o negli inferi per recuperare l’anima rapita o per conferire con le divinità. Tale viaggio, sovente descritto come volo, si svolge secondo un tempo che potremmo definire onirico, in cui il per-corso di immensi spazi e l’accadimento di complessi eventi sono mimati dallo sciamano secondo ritmi obiettivamente con-tratti (ma a volte anche paurosamente dilatati). Il rapporto con lo spazio, con il cosmo sciamanico rappresentato con semplici mezzi quali legni, stoffe e altri oggetti variamente di-sposti, è naturalmente il medesimo.

Muovendosi in un area di pochi metri quadrati, lo scia-mano si può affaticare come se percorresse distanze incom-mensurabili. Le avventure dello sciamano e dei suoi spiriti adiutori, i loro violenti contrasti, le lotte con personaggi e po-tenze ostili, i patteggiamenti e gli accordi, vengono tutti mimati, danzati e cantati dallo sciamano, che può all’occorrenza pas-sare il tamburo all’assistente in alcune fasi della sua perfor-mance.

Questa mimesi si verifica in uno stato definito dagli stu-diosi come estasi o anche trance, a indicare che non si tratta di una semplice, seppure intensa, recitazione quale potrebbe es-sere quella di un ottimo attore, bensì di una condizione in cui lo sciamano è completamente isolato, sordo e cieco ad ogni sti-molo esterno ed esposto a gravissime conseguenze, quali turbe psichiche e fisiche inflittegli, in seguito alla possibile sconfitta, dalle potenze ostili.

La stessa anima dello sciamano può essere costretta ad abbandonare il suo corpo, ciò che viene rappresentato da uno stato di catalessi, che segue una fase mimico-coreutica di par-ticolare violenza e intensità. Questa mimesi della morte e della rigidità cadaverica è considerata pericolosa, se prolungata, e l’assistente si incarica di “segnalare” all’anima dello sciamano la strada di ritorno verso la terra.

Ogni singola seduta sembra ripetere e riattualizzare del-l’iniziazione e della morte simbolica, da cui lo sciamano rie-merge carico di poteri.

La narrazione delle avventure passate e costituita dalle frasi rotte e pronunziate con voce alterata dello sciamano a uso del suo assistente, dalle osservazioni di quest’ultimo da uno scambio di idee tra i due: non sembra costituita dal ricordo dello sciamano che presenta di norma una perdita, difficile a dirsi se rituale o reale, della memoria.

“… Un aspetto della seduta che me-rita particolare attenzione è la discon-tinuità della condizione estatica. Sa-rebbe difficile,. ma non impossibile, im-maginare una lunga seduta tutta celebrata al grado massimo dell’estasi: ciò che non risulta chiaro è se nella seduta sciama-nica classica si arrivasse effettiva-mente, in alcune fasi e momenti, a un grado zero dell’estasi, cioè se lo scia-mano tornasse occasionalmente del tutto in sé. L’osservazione degli Anastenaria della Macedonia, ci ha permesso di con-statare più volte che gli adepti possono passare senza alcuna soluzione di conti-nuità dalla danza sui carboni ardenti a comportamenti del tutto normali e quoti-diani, come il fumare una sigaretta, man-giare un gelato, giocare con un bambino, per poi con un balzo, saltare di nuovo sulle braci in uno stato di frenesia, giustamente definita bacchica…” (Mastromat-tei , 1988:24) .

Iniziazioni sciamaniche.

Analizzando le iniziazioni sciamaniche si riscontra che si diventa “uomini di conoscenza”:

1) per vocazione spontanea (la ‘chiamata sciamanica’ o

‘elezione’ da parte degli spiriti);

2) per trasmissione ereditaria della professione sciama-

nica;

3) per decisione personale o, più raramente, per volontà

del clan.

Presso i Siberiani, colui che è chiamato a diventare sciamano si rende singolare con un comportamento strano: cerca la solitudine, diventa sognatore a occhi aperti, ama giro-vagare in boschi e luoghi deserti, ha visioni e canta durante il sonno.

A volte questo periodo di incubazione è caratterizzato da sintomi abbastanza gravi: presso gli latuci succede che il gio-vane diventi furioso e perda facilmente coscienza, si rifugi nelle foreste, si nutra di cortecce d’albero, si getti nell’acqua e nel fuoco, si ferisca con coltelli. I futuri sciamani tungusi , all’avvi-cinarsi dell’età adulta, attraversano una crisi isterica o isteroide: il ragazzo fugge sulle montagne e vi resta sette giorni o più, nutrendosi di animali che egli sbrana direttamente con i denti.

Quando si tratta di sciamanismo ereditario, le anime degli sciamani-antenati scelgono un giovane della famiglia; costui diventa assente e sognatore, cerca la solitudine, ha vi-sioni profetiche e, occasionalmente, attacchi che gli tolgono la coscienza. In questo periodo pensano i Buriati , l’anima del giovane è portata via dagli spiriti: accolta nel palazzo degli dèi viene istruita dagli sciamani-antenati sui segreti del mestiere, sulle forme e nomi degli dèi, sul culto e i nomi degli spiriti.

L’ereditarietà del potere sciamanico, cioè la trasmissione dei “poteri” di uno sciamano ancora vivo a suo figlio, era di re-gola fra le tribù degli Altopiani (Nord America), Thompson, Shuswap, Okanagon del sud, Klallam, Naso Forato, Klamanth, Tenino e la si incontra, ora, tra gli Hupa, i Chimariko, i Wintu e i Mono occidentali. La trasmissione degli “spiriti” costituisce sempre la base di questa ereditarietà sciamanica, a differenza del metodo più corrente che s’incontrava un po’ dappertutto fra le tribù nordamericane, di assicurarsi gli spiriti o con una ri-cerca volontaria oppure in sogno.

A tale proposito evidenziamo lo studio di D’Andrade sull’uso dei sogni per conseguire e controllare poteri sopranna-turali. L’autore fa notare che, sulla base della letteratura etno-grafica, non sempre è possibile distinguere tra sogni, stati pro-vocati dalla droga, visioni indotte con altri mezzi e relative con-dizioni. L’analogia tra stati di trance e sogni, che sono entrambi esperienze private e interiori, è grande, e in termini culturali non di rado essi sono intercambiabili e usati in Presso i Sioux, la ricerca solitaria della visione si verifica in seguito a giorni di isolamento e di digiuno, tra i Cheyenne, l’ “apparizione” dello spirito guardiano viene sollecitata, con mortificazioni e auto-torture, dal candidato.

Si può diventare sciamani anche in seguito a un inci-dente o un avvenimento insolito, come presso i Buriati, i Soioti quando si è colpiti da un fulmine o tra gli Iglulik in se-guito al ferimento da parte di un tricheco, eventi che vengono interpretati come segno di elezione da parte degli spiriti.

In tutti i casi, comunque, è la trance ad assicurare al candidato il futuro di sciamano; e le diverse vie di accesso a quest’ultima, quali l’ingestione di sostanze psicotrope, training di digiuno sofferenza fisica o “malattia iniziatica” si equival-gono come fattori attivanti che portano a determinare lo stato di shock indispensabile al passaggio.

E’ la visione estatica a rappresentare la prova della “vocazione” e quindi il criterio di selezione del candidato.

La visione iniziatica contiene l’esperienza della morte del neofita; la possibilità di contemplare lo smembramento del proprio corpo trova riscontro, oltre che nelle religioni primordiali, anche nelle correnti mistiche superiori come vertice di un’ascesi mirante al distacco totale dalla condizione terrena; vedersi morti è cioè l’acme di un processo di riduzione della vita aIIa propria essenza, una morte simbolica che condivi-dendo con i riti di passaggio la funzione essenziale di cancel-lare ciò che costituisce il passato dell’individuo, rende possibile il risorgere del virtuale sciamano a un livello “nuovo” di esi-stenza.

Secondo un ragguaglio iacuto, gli spiriti portano il futuro sciamano agli Inferi e lo chiudono tre anni in una casa. Qui egli subisce l’iniziazione: gli spiriti gli tagliano la testa e la depon-gono li accanto (perché il novizio deve assistere di persona al proprio smembramento), poi lo tagliano a brandelli, che ven-gono in seguito distribuiti agli spiriti delle diverse malattie. Sol-tanto a questa condizione lo sciamano otterrà il potere di gua-rire. Le ossa sono poi ricoperte di carne fresca e, in alcuni casi, gli si immette anche del sangue nuovo. Uno sciamano tunguso raccontò che durante la sua malattia iniziatica gli antenati sciamani l’avevano trafitto con frecce fino a fargli perdere cono-scenza e cadere a terra; qui gli tagliarono la carne, gli cavarono le ossa e le contarono. Una donna teleuta diventò sciamano dopo aver avuto la visione di uomini sconosciuti che le taglia-vano il corpo a pezzi e la cuocevano in una pentola.

Durante l’iniziazione dello sciamano araucano , il mae-stro convince gli astanti che egli cambia la lingua e gli occhi del neofita e gli trafigge il ventre con una bacchetta. Presso gli In-diani di River Patwin, l’aspirante alla società Kuksu ha l’ombelico trapassato da una lancia e da una freccia da parte di Kuksu in persona; egli muore e risorge per mezzo di uno sciamano. Presso i sudanesi dei monti Nuba , la prima con-sacrazione iniziatica si chiama “testa”, perché “si apre la testa del novizio affinché lo spirito vi possa entrare”. Presso i Daia-chi , i vecchi manang affermano che essi tagliano la testa dell’aspirante, gli tolgono il cervello e lo lavano per dargli un’intelligenza più limpida. In Australia, presso le tribù del de-serto sud-occidentale, il candidato è “ucciso” da un Essere so-prannaturale, eroe del Tempo del Sogno, che compie poi de-terminate operazioni chirurgiche sul suo corpo inanimato: fa-cendogli un’incisione addominale, gli toglie gli intestini sosti-tuendoli con altri, nuovi, con l’aggiunta di sostanze ritenute magiche, quali conchiglie e cristalli di quarzo.

Questi esempi mostrano come la trance iniziatica si strutturi secondo lo schema fondamentale dei riti di iniziazione:

“… 1) tortura per mano dei demoni e degli spiriti, che svolgono il ruolo di “maestri dell’iniziazione”;

2) morte rituale, sperimentata dal paziente come una discesa agli Inferi (accompagnata a volte da una ascen-sione al Cielo);

3) risurrezione a un nuovo modo d’es-sere: quello di un uomo consacrato, cioè capace di comunicare personal-mente con gli dei, i demoni e gli spiriti… ” (Eliade, 1974:140).

II ruolo degli spiriti (antenati sciamani, demoni) cosi come intervengono nella fase iniziatica, i quali si manifestano (allucinazione) a un soggetto impotente e passivo , è quello di rendere possibile il viaggio iniziatico, fungendo da tramite tra il candidato e le divinità soprannaturali.

Nelle trance successive, in seguito a un addestramento, il neofita imparerà a controllare da un lato, la “crisi” in sé (tempi e modi) e dall’altra, in parte, i contenuti stessi; “vedere gli spi-riti” è una facoltà che gli apprendisti sciamani potenziano e af-finano durante lunghi periodi.

“… Uno sciamano è riconosciuto tale soltanto dopo aver ricevuto una duplice istruzione:

1) di ordine estatico (sogni, vi-sioni, trance, ecc.);

2) di ordine tradizionale (tecniche sciamaniche, nomi e funzione degli spiriti, mitologia e genealogia del clan, linguaggio segreto, ecc.).. ” (Eliade, 1974b:32).

Dopo i primi episodi estatici, i novizi si ritirano con i “vecchi maestri” che si assumono il compito di dotare i neofiti degli strumenti tecnici e del bagaglio culturale necessari alla professione sciamanica. Il contatto con i vecchi sciamani è im-portante anche perché permette la circolazione dei “poteri”,

“… Per trasmettere il suo potere a un discepolo, lo sciamano apinayé si stro-fina le braccia e la parte più alta del corpo e poi ripete l’operazione sul suo candidato…” (Metraux, 1971:103).

Le “lezioni”, tenute in luoghi appositamente scelti, ver-tono, da una parte, sul sostrato mitico del gruppo di apparte-nenza: in qualità di depositario della storia della propria cultura, il futuro sciamano deve essere messo a conoscenza dei miti cosmologici e genealogici, dei diversi nomi e delle diverse fun-zioni degli spiriti; e dall’altra su elementi specialistici, quali: farmacopea, nozioni per la costruzione dei parafernali e cono-scenze tecniche per innescare e controllare la trance.

 

“… Parte integrante del periodo di iniziazione sciamanica, che si svolge sotto la guida di uno sciamano anziano, è l’apprendimento della ‘lingua segreta’ di cui egli si servirà per comunicare con gli spiriti. In tale ‘lingua segreta’ rientrano, oltre ad una tradizione lessi-cale autonoma dalla lingua corrente e ca-ratterizzata dall’esoterismo proprio a tutta l’iniziazione sciamanica, i canti, gli scongiuri, le grida degli animali e i rumori delle forze della natura nonché il comportamento di coloro che parlano que-sta lingua, cioè gli spiriti, soprattutto nel loro aspetto zoomorfo…” (Marazzi, 1984: 16).

La posizione centrale occupata dall’apprendimento dei canti durante il noviziato e da connettersi al fatto che il canto costituisce uno degli strumenti terapeutici più importanti utiliz-zati dal medicine-man. E’ importante ricordare che ciò che dei canti viene trasmesso è solo il nucleo di base, lasciando all’im-provvisazione del neosciamano le parti di contorno. Come sot-tolinea Marazzi per l’area siberiana:

“… Intorno ad un tema centrale, tramandato di sciamano in sciamano, si esercita la libera creazione dello scia-mano ‘ispirato’ dagli spiriti in modo di-verso a seconda della circostanza nella quale si trova a operare…” (Marazzi, 1984:27).

Inoltre la versione personalizzata dei testi sciamanici o addirittura l’apporto di nuovi elementi era considerata, come sottolinea Shirokogorov (1935:335), opera di “grandi scia-mani”, mentre la pedissequa aderenza al testo veniva interpre-tata come segno di decadimento del potere personale del “signore degli spiriti”.

Questa duplice istruzione, assicurata dagli spiriti e dai vecchi maestri sciamani, costituisce l’iniziazione. Il novizio viene ritenuto idoneo alla professione sciamanica nel momento in cui dimostra di saper volontariamente passare dallo stato di veglia a quello di trance e di possedere il controllo di un certo numero di spiriti; numero che dipende primariamente dall’arti-colazione, interna al gruppo, dal complesso di credenze circa le forze che governano la natura e dall’esperienza stessa dello sciamano. Come riporta Shirokogorov:

“… Presso i Tungusi della Manciuria il bagaglio di spiriti considerato suffi-ciente per iniziare la carriera sciama-nica comprendeva solo cinque o sei spi-riti, mentre alla fine di una buona car-riera il numero poteva salire fino ad abbracciare tutti gli spiriti ricono-sciuti dal gruppo, circa cento…” (Shirokogorov, 1935:272).

L’esame avviene di solito alla presenza del solo maestro, ma a volte, la consacrazione del nuovo sciamano è pubblica e comporta un rituale ricco e movimentato come fra i Buriati, i Goldi, i Altaici, i Tungusi, i Manciu, fra Araucani del Cile o i Huichol del Messico. Ma l’assenza di un rituale di questo ge-nere non implica affatto l’assenza dell`iniziazione: questa può benissimo, come si è visto, avvenire nell’esperienza estatica del neofita.

 

Summary:

THE SHAMANIC TRANCE

by Riva Fabio

The “shaman” is a man that in all the primtive cultures and religions, mediates the relations between divinity and the people.

Tipically, the shaman lives ecstatic experiences which are the key to access to the communication with the divinity.

The shamanic trance (ecstasy) shows the moments: the first is an out-of-body experience, the second is the collection of information from the “spirits” during the ecstasy.

The shamanic trance may be spontaneous, but more often is obtained during religious rituals.

These rituals are linked with economic activities, for examples the hunt and the harvesting, or the treatment of disesases.

In fact, in primitive culture, the shaman is also a “physician” and he knows the use of medicinal plants.

Yet, in shamanic culture, the disease is primarily due to some “spell” wich requires the intervention of spirits to obtaine the recovery.

Likewise, the spirit can control a variety of occurrences in the community (the hunt, the harvesting, the war, the famines, the diseases and so on…).

In this perspective, the shaman accomplishes an important task in the primitive community.

The shamanic initiation can be obtained by spontaneous vocation, or by hereditary transmission of the profession.

The ecstatic experience is generally reached using the percussive and rhythmic music of drum.

The low frequencies of sound could cause a “driving” of the cerebral alpha and theta rhythms, and a spatial disorentation. During the ecstasy (or trance), several psi experiences or abilities could easy emerge (clairvoiance, telepathy, precognition…).

It is very probable that the best shamans are those showing conspicuos psi abilities, so the legends about the “magic powers” of shamans could be interpreted in terms of psi abilities.

 

 

Zombie, il segreto dei morti viventi

Gli dei vudù nel pantheon del Benin. Haiti: politica e magia. Il rito del mandamorti. William Seabrook incontra i non-morti. Il terribile veleno del  pesce-palla. Scoperta la tecnica per realizzare uno zombi.
Gennaio 1996, nella sperduta repubblica africana del Benin, nel golfo di  Guinea. Il presidente Nicephoro Soglo annuncia alla popolazione che «una secolare ingiustizia è stata finalmente riparata. Il vudù, religione  tradizionale del Paese, diventa un credo ufficiale, con una propria festa,  al pari delle altre confessioni praticate in Benin, il cristianesimo e
l’islamismo. Quattrocento anni fa, proprio da queste spiagge chiamate  sinistramente Costa degli schiavi, milioni di uomini venivano strappati  alla loro terra e trascinati a forza in altri continenti, a morire nelle  piantagioni di cotone. Ma l’antica religione, il vudù, non è mai andata  perduta, e torna oggi più potente che mai…».

POLITICA E RELIGIONE AD HAITI 
Il vudù, parola che in dialetto africano significa dio, è una religione  sincretica nata durante il periodo del colonialismo dalla mescolanza delle  credenze spiritiche e animistiche delle popolazioni di colore (Malgasci,  Bantu, Dahomey, Mandinghi) deportate in America. Questo credo, che ospita  tutti gli dei delle religioni africane, è attualmente praticato ad Haiti  e Cuba, in Brasile, nelle Antille e persino in parte degli USA, con il  nome di hoodoo, presso le comunità nere della Florida e della Louisiana.  Si tratta di una religione magica. I suoi sacerdoti si chiamano hungan se  stregoni bianchi, bokor se neri. Costoro possono invocare indifferentemente gli spiriti rada, divinità benefiche del focolare, ed i  petrò, le anime demoniache. Queste ultime sono però difficilmente  controllabili, e la loro evocazione è praticata in genere solamente dai  maghi neri particolarmente abili. Questi stregoni satanisti hanno avuto,  durante la dittatura della famiglia Duvalier (Papà e Baby Doc), una  funzione politica fondamentale. I Duvalier, difatti, utilizzavano la  magia nera (o quanto meno, il terrore che essa incuteva) per sottomettere  la superstiziosa popolazione di Port-Au-Prince. La magia nera sarebbe  servita poi per scacciare dall’isola sia Baby Doc sia i marines americani  mandati dalle Nazioni Unite dopo il colpo di stato.
La più temibile stregoneria, sulla quale si basa il prestigio ed il  potere illimitato dei bokor sulla popolazione locale, è
l’oscuro e segretissimo rito del mandamorti, meglio conosciuto come la resurrezione di uno zombi.

COME FAR USCIRE LO ZOMBI DALLA TOMBA 
Tutti sanno, grazie alle fantasiose e romanzate pellicole horror di George  Romero, cosa sia uno zombi, il morto vivente resuscitato per magia e costretto ad obbedire per sempre al suo mago-padrone.
La resurrezione dello zombi è praticata solo da quei bokor che conoscono  le giuste preghiere rituali ed hanno l’animo saldo quanto basta. Per poter  resuscitare un morto, difatti, è indispensabile recarsi di notte in un  cimitero ed evocare, davanti alla lapide, un demonio. Proprio quest’ultimo  fornisce l’energia che permette al corpo morto di tornare in vita. Ma per  poter comandare lo zombi, lo stregone deve possederne l’anima, che viene  evocata, catturata ed imprigionata dentro un vaso, una specie di lampada  di Aladino il cui possesso permette al bokor di annullare la volontà del  resuscitato. Si invoca allora Baron Samedi, il signore dei cimiteri  custode delle anime, e lo si addormenta con la formula creola Do’ mi pa fumé, Baron Samedi, Dormite bene Baron Samedi. Non appena il signore dei
cimiteri abbassa la guardia, il bokor può sottrargli l’anima dello zombi, chiamandola a sé con la frase Mortoo tomboo miyi, Morto, dalla tomba, a me!
A questo punto il cadavere viene disseppellito e resuscitato. Privo della  propria anima, e quindi di volontà, lo zombi, mosso dal demonio, è ora  pronto ad eseguire, su ordinazione, qualsiasi azione, anche la più  efferata. La moderna cinematografia ha inventato moltissimi dettagli finti sugli  zombi (si dice, ad esempio, che mangino solo carne umana e che muoiano  soltanto se colpiti alla testa); l’unico resoconto fedele alle credenze  haitiane è quello dello scrittore William Seabrook, un esploratore che  negli anni Venti visse ad Haiti e ne fu in parte introdotto ai misteri. Seabrook, nel volume L’isola magica (1929), racconta: «La luna piena  saliva lentamente nel cielo, sbiancando le colline e le piantagioni di  cotone, ed io me ne stavo seduto davanti alla porta di casa con Costantino
Polinice, un fittavolo haitiano, a parlare di demoni, licantropi e vampiri. Il discorso cadde sugli zombi. Avevo sentito dire che lo zombi è un corpo privo di anima, clinicamente morto, che riacquista magicamente un’apparenza di vita puramente meccanica; un cadavere che agisce, si muove, cammina come se fosse vivo, grazie alle arti di uno stregone. Questi sceglie un cadavere sepolto di fresco che non abbia ancora avuto il tempo di decomporsi e lo sottopone ad una specie di galvanizzazione. Poi lo asservisce sia per fargli commettere qualche delitto, sia per affidargli, come capita più sovente, lavori agricoli o domestici pesanti. Non appena il morto accenna a rilassarsi, questi lo bastona come una bestia da soma. Quando ne parlai a Polinice, il mio scettico amico mi rispose: ’Creda a me, non si tratta di una superstizione. Fa parte purtroppo dei nostri usi e costumi. Sono cose vere ad un punto che voi bianchi non sospettate neppure. Lei non si è mai chiesto perché i contadini più poveri seppelliscono i loro morti sotto massicce torri di muratura? Che altro motivo vuole che ci sia se non quello di difendere i propri morti?». Seabrook prosegue citando il caso di «un vecchio negro, tale Ti-Joseph du Colombier, che un bel mattino arrivò davanti ai campi di Hasco seguito da una banda di nove straccioni dall’espressione inebetita, che avanzavano con passo strascicato. Ti-Joseph li mise tutti in fila e quelli lo lasciarono fare, restandosene con lo sguardo fisso e vuoto». Dopodiché Ti-Joseph mise gli zombi al lavoro nei campi. Quegli strani esseri, tenuti lontani dalla curiosità dei passanti, lavoravano molte ore al giorno, sotto il sole; non parlavano, non mostravano alcuna emozione e si limitavano a zappare la terra. Dormivano pochissimo e mangiavano soltanto banane bollite e scondite. Questa insolita forma di sfruttamento andò avanti molto a lungo sin che, un giorno, mentre Ti-Joseph era assente, una venditrice di pistacchi salati incontrò gli zombi ed offrì loro un po’ di cibo. Ora, secondo le tradizioni haitiane, i morti viventi possono mangiare di tutto, fuorché carne e cibo salato, pena la rottura dell’incantesimo che li mantiene in vita. «Bastò che gli zombi avvertissero il gusto del sale – prosegue Seabrook – perché si rendessero conto di essere morti. Con urla spaventose corsero verso il cimitero. Appena vi giunsero si misero a correre in mezzo alle tombe. Ciascuno, trovata la sua, si diede subito a raspare alacremente le pietre e la terra per potervi entrare. Al primo contatto con i loro sepolcri, vi caddero di peso, già carogne in putrefazione…». L’episodio più impressionante citato da Seabrook come autentico è però il suo faccia a faccia con uno zombi. «Un pomeriggio, alla luce del sole, io e Polinice percorrevamo il sentiero che porta a Picmy. Rallentando all’improvviso l’andatura del suo cavallo, Polinice mi indicò, sul fianco della montagna, a un centinaio di metri da noi, una terrazza pietrosa ove tre uomini e una donna stavano vangando la terra in mezzo a piante di cotone. La prima impressione sugli zombi fu strana; certo non appartenevano all’ordine naturale delle cose. Lavoravano come bruti, come automi…Polinice toccò la spalla di uno zombi e questi girò docilmente il viso. Quel che vidi, benché fossi preparato, mi colpì profondamente e ne provai un senso di nausea. Non crediate che fossi sotto l’effetto di una suggestione, erano davvero gli occhi di un morto, non di un cieco. Erano fissi, spenti, privi di sguardo. Tanto bastava per rendere orrendo il volto, profondamente vuoto, come se dentro non avesse nulla. Non è sufficiente dire che era senza espressione…In seguito mi convinsi che quegli zombi non dovevano essere altro che dei mentecatti, degli idioti cronici sfruttati per il lavoro nei campi. Era una spiegazione razionale. Ma la storia non doveva concludersi qui. Giorni dopo mi trovai a parlarne con il dottor Antoine Villiers, uno spirito scientifico ferreo e pragmatico, che mi disse: ’Non credo affatto che sia possibile resuscitare i morti. Non credo alla resurrezione di Lazzaro e nemmeno a quella di Cristo. Tuttavia, non sono sicuro che nella questione degli zombi non ci sia sotto qualcosa di orribile. Penso sia il caso di parlare di stregoneria criminale‘. E così facendo mi mostrò una pagina del codice penale di Haiti che diceva: Articolo 249. Sarà imputato di omicidio chiunque somministri al suo prossimo sostanze che, senza essere letali, siano suscettibili di provocare un sonno letargico più o meno lungo. Chi poi seppellisca la persona che abbia assorbito tale sostanza, verrà imputato di omicidio…»

LA MAGICA POLVERE DEI BOKOR
E forse il segreto degli zombi è proprio nella somministrazione di «sostanze capaci di causare un sonno letargico». L’antropologo americano Wade Davis, autore del libro Il serpente e l’arcobaleno (da cui è stato tratto anche un film), sostiene di avere scoperto il trucco utilizzato dai bokor per trasformare gli esseri umani in zombi. Questi spruzzano nelle narici delle loro vittime, ben vive, una polvere giallastra capace apparentemente di causare una morte istantanea. Questa polvere, che Davis ha fatto analizzare da una società farmaceutica statunitense, contiene tetrodotossina, un veleno che si estrae dal pesce palla haitiano, capace di paralizzare i centri nervosi. A questa droga i bokor mescolano sostanze tanto inutili quanto folkloristiche, come terra di cimitero e polvere di penne di gallo nero, giusto per creare un po’ di scena. Quindi la spruzzano contro la vittima. Questa cade in catalessi e, data per morta, viene sepolta. E, terrorizzata, assiste cosciente al proprio funerale e alla propria inumazione, senza potersi muovere!
Proprio quest’ultima traumatica esperienza, unita ad una buona dose di superstizione, distrugge la lucidità mentale della vittima, che finisce con il perdere la ragione, cadendo in uno stato di autismo perenne e continuato.
Quando la notte stessa il bokor disseppellisce il malcapitato e lo rianima somministrandogli un antidoto la cui ricetta non è stata ancora scoperta, questi, ormai muto e semideficiente, si crede effettivamente un morto risorto. E si rassegna a questa nuova esistenza di schiavitù e lavoro. Negli anni Settanta la televisione francese riuscì addirittura ad intervistare un ex-zombi che era riuscito a riconquistare sia la libertà che parte della ragione (il che si verifica assai raramente). L’uomo, un certo Narcisse Clovis, viveva comunque in una clinica psichiatrica, non avendo smaltito del tutto gli effetti deleteri della droga dei bokor.
Sebbene la medicina occidentale sia riuscita a spiegare in parte il segreto della trasformazione in zombi, Davis ha dichiarato, nel 1987: «La polvere zombi ed il suo ingrediente attivo, al tetrodotossina, sono oggetto di studi negli Stati Uniti ed in Europa; pure, la dinamica con cui la polvere agisce rimane un mistero…».

Un antico rituale per invocare la Pioggia

Sin dall’ antichità si attribuisce a maghi, streghe, druidi e sacerdoti il potere di controllare il tempo atmosferico, comandare le tempeste, incatenare il vento, ecc…Questa che segue è un rituale base per attirare la pioggia, comune in molti paesi europei.

Quasi sempre veniva eseguito in riva ad uno stagno o ruscello, si raccoglieva l’ acqua in un calderone e poi la si agitava con dei rametti. Mentre agitavano l’acqua, le streghe invocavano lo spirito della pioggia chiedendo abbondanti piogge per la fertilità dei campi. Successivamente, con i rametti, si mescolava il liquido per nove volte in senso orario e subito dopo per nove volte in senso antiorario. Poi scuotevano l’ acqua ancora e ripetevano il processo per tre volte. Si spruzzava l’ acqua nell’ aria come se stesse effettivamente piovendo. Il rituale veniva ripetuto in sequenze dispari (1-3-7-9-13…). Il rito veniva concluso gettando l’acqua del calderone sulla terra.

Da li a poco si era certi che la pioggia sarebbe giunta abbondante. Se nei giorni successivi la condizione meteorologica desiderata non si presentava, il rito veniva ripetuto ancora, cercando di soddisfare gli spiriti della natura con i giusti tributi.

Questa è la struttura di base dell’ antico rituale, che presente varianti nei diversi paesi, per esempio in alcune tradizioni era richiesto che le fanciulle operanti fossero vergini, o che l’ acqua venisse versata sul corpo di una vergine; i nomi degli spiriti e delle divinità erano differenti a seconda dei costumi del popolo. Il rito poteva presentare l’ aggiunta di ingredienti che avevano il potere di attrarre le nubi ect…

Io ho personalmente provato questo rituale tempo fa, adattandolo alle mie credenze. Ho invocato l’ aiuto di Odino, in quanto divinità associata al vento, alla pioggia e alla magia.

Altri metodi tradizionali che aiutano ad attrarre nubi e piogge sono:

bruciare l’ erica
rompere accidentalmente i funghi
bruciare foglie di felci
bagnare dei cristalli di rocca ed esporli all’ aria aperta

fonte: http://anticastregoneria.wordpress.com/2012/02/05/antico-rituale-per-provocare-la-pioggia/