Vampiri, fantasmi e satanisti

Infiniti gli incubi che allignano nel ferrarese, una delle contrade più misteriose d’Italia.

Il vampiro di Marozzo

Questa villa fu fatta costruire nel 1890 a Marozzo, in provincia di Ferrara, da Lucilla Adani, una nobildonna friulana che allora abitava ancora a Gemona (UD). Vedova e senza figli si trasferì nella nuova casa nel 1891 e una volta arrivata assunse subito alcune persone del luogo come domestici. Nel giro di poche settimane, però, tutti i servitori lasciarono la casa e il lavoro dicendo che lì capitavano “cose strane” infatti girava la voce che Lucilla Adani fosse una strega e che praticasse la magia nera. Nel frattempo nelle case situate nelle vicinanze della villa cominciarono ben presto a morire alcuni animali da cortile. Alcuni morivano di strane malattie, altri venivano trovati sgozzati e dissanguati, o semplicemente sparivano senza lasciare traccia. Inizialmente la causa di tutto fu attribuita a volpi infette da rabbia o altri predatori, ma quando cominciarono a sparire anche delle persone il terrore cominciò a dilagare e Lucilla Adani fu la prima ad essere incriminata. Qui la storia diventa confusa, infatti non è ben chiaro se la donna sia stata semplicemente allontanata dal paese o se sia stata linciata dalla gente inferocita. Ad ogni modo Lucilla scomparve definitivamente nel 1893, ma su di lei rimane ugualmente un alone di inquietante mistero in quanto molti sostengono di averla vista levitare a due metri da terra nei dintorni della villa. Qualche anno dopo la sua sparizione, il cortile della casa fu cinto da un filo spinato e davanti ad essa fu costruita una piccola chiesa. Ancora oggi però la gente continua a trovare animali morti e dissanguati intorno alla casa.

La casa senza finestre

Un sentiero cinto da cipressi ci conduce verso questa strana costruzione priva di finestre, alla periferia di Massafiscaglia. Un vecchio di passaggio racconta che l’origine di tutto è una tragedia del 1959. Allora vi abitavano due persone, fratello e sorella, il cui rapporto era molto ambiguo, forse incestuoso; fatto sta che una notte fra i due scoppiò una violenta lite (tutto il vicinato udì le grida), poi il mattino seguente il postino, trovata la porta d’ingresso aperta, vide i fratelli impiccati a una trave del soggiorno. Il fatto strano era che entrambi fossero impiccati alla stessa corda. La casa da allora è rimasta disabitata, ma c’è chi giura di udire ancora le loro orribili grida. Nel 1965, forse per “esorcizzare” questo fatto inquietante, le finestre furono murate.

Satana in magazzino

satanaQuesto edificio nel cantro di Cona, già da oltre trent’anni disabitato, era un tempo un magazzino. Fu teatro alla fine degli anni 70 di riti satanici: messe nere e strani rituali si susseguirono entro le sue mura tra il 1978 e il 1980, anno in cui capitò al tragedia che interruppe bruscamente ogni attività della setta. In alcuni periodi dell’anno, durante la notte, la gente che abitava nelle vicinanze udiva rumori indefinibili e voci di persone che intonavano strane cantilene, all’apparenza prive di senso. All’inizio nessuno ci fece caso, poi dopo qualche tempo qualcuno, forse disturbato dai rumori notturni, chiamò la polizia che, una volta arrivata sul luogo, non trovò nessuno ma osservò strane scritte sui muri, cenere ancora calda sul pavimento, un pollo sgozzato e diversi oggetti particolari disposti in cerchio al centro dell’edificio. Venne fata denuncia verso ignoti e la casa fu tenuta d’occhio. I mesi passarono e i rituali continuavano e le frequenti irruzione della polizia non portavano a nulla fino a quando, nel 1980, fu trovato morto al centro dello stabile un giovane Tunisino, sgozzato e con gli occhi cavati. Da quel giorno nessuno ha più sentito rumori o cantilene, e ancora oggi la polizia non è stata in grado di scoprire che fossero gli adepti di questa misteriosa setta.

Il fantasma del pozzo

Sicuramente i turisti che d’estate affollano il Lido delle Nazioni, rinomata meta balneare, non avranno mai notato questa casa che, come un fungo velenoso, sorge nella verde radura che costeggia la strada. Solo pochi anziani ricordano la storia di questa costruzione e del suo pozzo. Erano gli anni 50 e la villa era abitata da marito, moglie e dai loro figli. Una notte, la donna, per cause ignote, mentre tutti dormivano, uscì di casa e si avviò verso il pozzo gettandosi dentro per poi lasciarsi annegare. Questa tragedia sconvolse al vita dell’intera famiglia che, pochi mesi dopo, di trasferì altrove e la casa, da allora, è rimasta abbandonata. A distanza di anni dall’accaduto ci sono persone che affermano di vedere ancora quella donna, di vedere una figura luminosa uscire dalla casa e scivolare nel pozzo. Sembra che esista addirittura una foto, scattata da un turista negli anni 60, in cui, si vede galleggiare sopra il pozzo un corpo fluorescente.

Il lago dell’incubo

Questo piccolo bacino d’acqua (circa 15 – 20 metri di diametro), chiamato Gurgon, è situato a Caprile, un paesino in provincia, ed è considerato dagli anziani di questa zona come un luogo altamente sinistro. Come si sia formato è ancora oggi un mistero, ma sembra che sulla superficie che occupa adesso il lago, prima ci fosse una casa. In seguito il terreno, per cause ignote, è sprofondato trascinando con sé anche l’edificio e da qui è nata la voragine che ben presto si è riempita d’acqua. Un’altra disgrazia oscurò la fama del lago negli anni 50 quando due ragazzi mentre facevano il bagno con un gruppo di amici, morirono annegati. Forse per evitare altre tragedie si tentò di ricoprire il lago riempiendolo di terra, ma tutto si rivelò inutile: lo specchio d’acqua sembrava senza fondo. Si provò anche a svuotarlo con l’ausilio di potenti pompe idrauliche. Dopo un giorno intero di lavoro si riuscì quasi a vedere il fondo ma il mattino seguente il lago, fermate le pompe, si riempì di nuovo d’acqua. L’ipotesi più attendibile che possa spiegare le strane caratteristiche del Gurgon può essere l’esistenza di cavità sotto il lago, una sorta di area vuota piena di metano. Questo spiegherebbe l’instabilità del fondale. La fuoriuscita di bolle di gas dall’acqua potrebbe confermare questa teoria, anche perché l’intera zona è ricca di metano. Recentemente è stata misurata la profondità del lago: sembra che non superi i 14 metri e mezzo.

La suora bianca di Maria Regia

Maria Regia, situata a Loiano in provincia di Bologna, è un edificio ancora abitato che appartiene alla diocesi di Comacchio (Ferrara). Durante i mesi estivi ospita i ragazzi dei campi scuola dell’ ACR. Anche qui, come affermano numerose testimonianze, c’è un fantasma che vaga per le stanze dell’edificio: è quello di una suora che visse parecchia anni fa. Secondo la cronaca, quando la religiosa era ancora in vita, per qualche ragione misteriosa uscì di notte dalla casa per dirigersi verso il boschetto circostante; da quel giorno non tornò mai più. Lei è morta ma il suo spettro s’aggira ancora per Maria Regia: appare sotto le sembianze di una donna vestita di bianco, il suo sguardo è severo, quasi cattivo, e c’è chi dice che guardarla negli occhi la faccia infuriare e porti disgrazia.

Mini – castello stregato

Il castello del Verginese, presso Gambulaga, è un maniero di piccole dimensioni, 36 metri di lunghezza per 12 di altezza; fu costruito nel XV secolo e apparteneva, come tutta la provincia di Ferrara, agli Estensi. È ritenuto infestato fin dalla seconda guerra mondiale e pare che alcuni abitanti del luogo siano stati trucidati e seppelliti alle spalle del castello: i cumuli di terra sotto cui dovrebbero trovarsi i corpi sono ancora ben visibili. Gran parte della costruzione è stata ristrutturata a scopo artistico, e vi è stato anche annesso un ristorante. Sembra che un dipendente del locale abbia visto, una sera, una figura luminescente aggirarsi nei pressi dell’entrata principale. Gli esperti del paranormale, condotti sul posto, ritengono di “sentire” forti presenze, soprattutto in una delle dipendenze del castello non ancora ristrutturate. Lo stesso gestore del ristorante sarà lieto di raccontarvi tutti i particolari sui fantasmi della dimora.

L’ospedale maledetto

Questo edificio che si trova presso Aguscello era, prima che venisse abbandonato all’inizio degli anni 70, un ospedale psichiatrico infantile di proprietà della Croce Rossa Italiana. I motivi del suo decadimento sono sconosciuti, ma numerose sono le leggende che si narrano su questo posto. Oltre ad essere stato, per diversi anni, sede di messe nere e riti occulti., è stato ritenuto infestato dagli spettri. Infatti si narra che piccoli ospiti dell’istituto morirono tragicamente qualche anno prima della chiusura. La causa di questa morte prematura è ancor oggi un mistero: c’è chi dice che fu lo scoppio di un incendio a ucciderli, anche se questa ipotesi appare improbabile in quanto non risultano segni di bruciature o strutture carbonizzate. Altre parlano di un epidemia o addirittura che i piccoli furono vittime di un pazzo assassino. Fra le tante storie, una racconta che ci sia persino una fossa comune al centro dell’edificio. Fatto sta che durante la notte fra le rovine dell’ospedale si sentono ancora i pianti disperati dei bambini. All’ultimo piano, irraggiungibile in quanto la scala è crollata, vi sono ancora le impronte delle loro manine impresse nei muri.

Fuochi folli

Questa splendida villa che sorge presso Quartesana, durante il XIX secolo era sede di una lussuosa clinica per malati mentali di alto rango: solo i ricchi e i nobili si potevano permettere di ricoverare i propri partenti in questo “manicomio dorato”. Dopo circa 10 anni di fiorente attività, la clinica venne chiusa e l’edificio fu sgomberato e abbandonato per sempre; ufficialmente la causa di questa improvvisa chiusura era dovuta a problemi fiscali e debiti di vario tipo, ma ci sono altre voci che sostengono ben diverse motivazioni. Infatti, durante tutto il periodo in cui la clinica funzionò, si verificarono parecchi casi di suicidio sia tra i pazienti che tra il personale; inoltre si racconta che, dentro l’edificio e nell’enorme giardino circostante, capitarono altri fatti inquietanti, come rumori inspiegabili che provenivano dalla cantina, incendi improvvisi, fuochi fatui e “fenomeni luminosi” nei corridoi e tra gli alberi intorno alla casa. Ad ogni modo, la clinica fu chiusa e il cancello del giardino, ridotto ormai a un bosco di vegetazione impenetrabile, fu sbarrato per sempre.

La “Santeria” di Cuba:

qualcosa di più di una religione…..

A Cuba la “Santeria” è una dei misteri più affascinanti che unisce la variegata popolazione del caribe, composta da un crogiolo di razze e culture amalgamate da tempo in un popolo capace di sentire con forza la propria unità nazionale. Per capire a fondo la cultura cubana non è possibile prescindere dalla santeria e dai suoi rituali. È forse uno dei misteri più affascinanti che unisce la variegata popolazione del caribe, composta da un crogiolo di razze e culture amalgamate da tempo in un popolo capace di sentire con forza la propria unità nazionale. A Cuba è una bestemmia solo parlare di razzismo: creoli, bianchi, mulatti e negri convivono da sempre senza problemi e la santeria ha la sua parte di merito. È vero che l’intensità con la quale si pratica questa religione non è uniforme, infatti a Oriente (Santiago e Baracoa) la sua influenza è maggiore che a Occidente, così come nelle campagne la religiosità è più diffusa rispetto ai grandi centri urbani. Basta aggirarsi un po’ per i quartieri de

Cuba Caribbean FestivalL’Avana per rendersi conto che a Guanabocoa si praticano riti santeri in misura superiore rispetto ai quartieri centrali del Vedado e Miramar e che là dove la popolazione nera è in maggioranza la santeria ha una percentuale di pratica e diffusione notevole. E questo è abbastanza ovvio se solo si pensa alle origini di queste credenze. La santeria nasce nella Nigeria sud occidentale, la patria degli Yoruba, che in pieno XVII secolo furono deportati nel Nuovo Mondo come schiavi. Fu così che gli africani trasferirono a Cuba la loro pittoresca e variopinta mitologia che prese il nome di lucumì. Le divinità, chiamate orisha, ci ricordano molto da vicino gli dei dell’Olimpo greco, perché sono un coacervo di vizi e difetti umani. La stessa religione africana si diffuse nel resto dell’America centro – meridionale con diverse modificazioni. A puro titolo esemplificativo diremo che in Brasile dette vita al candomblé o macumba e ad Haiti al vudù. A Cuba il tratto fondamentale di quella che si chiamerà santeria è dato da una commistione e identificazione della mitologia lucumì con la iconolatria cattolica dei dominatori spagnoli. Gli schiavi africani si preoccuparono di occultare le loro pratiche magiche e religiose agli occhi degli spagnoli, che non sono stati mai un esempio di tolleranza. Fu così che gli orisha presero nomi dei santi cristiani e i riti magici yoruba andarono progressivamente a fondersi con le tradizioni della Chiesa cattolica. Ecco perché è appropriato parlare di sincretismo religioso a proposito della santeria, che oggi subisce pesantemente l’influenza del cattolicesimo. Quei santi che servivano inizialmente solo a mascherare la realtà di un culto che veniva dell’Africa, adesso sono una cosa sola e inscindibile con i rispettivi orisha. Al giorno di oggi non c’è santero che non si dica cattolico e che non sia battezzato. La necessità di un tempo si è trasformata in una religione nuova che non nasconde più niente a nessuno, ma è diventata un cattolicesimo sui generis, costretto a fare i conti con i riti venuti dall’Africa quattrocento anni fa. A Cuba la Chiesa non può che chiudere un occhio se vuole convertire e farsi accettare, perché qua non è possibile prescindere dalla tradizione. Ed è quello che sta facendo, come a suo tempo ha fatto il regime comunista, per impostazione culturale ostile a ogni culto religioso. La santeria è una religione terrena, un sistema magico – religioso dove ogni orisha si identifica con un aspetto della natura e trova il suo corrispettivo nella tradizione cattolica. Changò è Santa Barbara e governa il fuoco, il tuono e il fulmine, oltre a essere il simbolo del potere bruto, della passione e della virilità. Oshun viene raffigurata come Nostra Signora della Caridad del Cobre, la patrona di Cuba, e simboleggia le acque del fiume, oltre a essere riconosciuta come dea dell’amore, della fertilità e del matrimonio. Yemayà è associata a Nostra Signora di Regla, patrona de L’Avana e simbolicamente rappresenta il mare. A lei si rivolgono le donne in maternità per ricevere protezione. Elegguà si raffigura come Sant’ Antonio da Padova, ma per la tradizione santera è il bambino degli dei, imprevedibile e sconcertante. I suoi poteri sono enormi: apre tutte le strade e governa il destino, rendendo possibile ogni impresa. Obatalà è Nostra Signora della Misericordia ed è raffigurato come il creatore del genere umano. Oyà è Santa Teresa e simboleggia i venti, oltre a vigilare su cimiteri e fulmini. Oggùn si identifica con San Pietro ed è il patrono di tutti i metalli, proprio per questo protegge agricoltori, carpentiri, macella, chirurghi, meccanici e poliziotti e tutti coloro che lavorano con metalli o con armi metalliche. Abbiamo citato solo le divinità maggiori, per andare oltre non basterebbe lo spazio di un articolo, così come interessante sarebbe approfondire le leggende che si narrano attorno a ogni orisha. La mitologia che si è sviluppata nei secoli attorno alle singole figure non ha niente da invidiare quella classica di tradizione greco – romana. Gli orisha vengono propiziati con sacrifici, ma non sempre c’è bisogno di una vittima e di uno spargimento di sangue. Più frequentemente offrono frutti, fiori, candele o i cibi preferiti dagli orisha. Si ricorre a offerte più importanti solo se si devono risolvere problemi molto delicati e soprattutto si ricorre al sacrificio di sangue solo quando è a rischio la vita di una persona. Fissiamo un altro punto fermo dicendo che la santeria non è un culto o una pratica magica, come molti nel passato hanno tentato di liquidarla. I santeros sono soltanto la voce terrena degli orisha, così come i babalawos sono oracoli ancora più potenti, una sorta di sommi sacerdoti della santeria. Tutti parlano sempre per bocca dei santi e degli dei e tra loro è solo una questione di gerarchia e di potere. Il santero rispetta il babalawo e in caso di dubbio interpretativo chiederà sempre a lui una spiegazione esauriente. Il Dio supremo non manca a questa religione ed è chiamato Oloddumare, il creatore di tutti gli orisha, però l’elemento fondamentale resta il culto dei santi. La vita di ognuno di noi è governata da un orisha, una sorta di angelo custode che accompagna ogni azione dalla culla alla tomba e deve essere individuato prima possibile dall’interessato. La santeria si propaga e si diffonde per iniziazioni che a loro volta ne producono altre. Il neofita si dice che prende il santo e per un cero periodo (solitamente un anno) va in giro vestito di bianco, deve sottostare a certe proibizioni alimentari e, se si tratta di una donna, deve portare anche i capelli tagliati molto corti. Nel culto santero sono di fondamentale importanza gli spiriti dei morti, chiamati eggun, che vanno sempre onorati prima degli orisha. I defunti hanno bisogno di essere nutriti e per questo motivo in casa di un santero troverete sempre, nel bagno o dietro le porte, bacinelle di acqua, tazzine di caffè, bocconi di cibo, mazzi di fiori e candele votive. Ogni cerimonia rituale, detta rogacion de cabeza, si apre con l’invocazione e l’invocazione e l’offerta agli eggun e si svolge attorno alla boveda, un tavolino con sopra coppe per l’acqua e al centro una coppa più grande consacrata alla giuda spirituale del santero. Sulla boveda i santeri depongono fiori, sigari, rum, alcol aromatico (acqua di florida), dolci, cibo e caffè. A volte anche una rosa rossa e un crocifisso. La messa spirituale è una seduta pubblica in cui i partecipanti siedono intorno a un tavolo speso tenendosi per mano. Le cerimonie si svolgono dopo il tramonto e prima di iniziare ci si deve purificare con l’acqua di florida. Il santero parla con una lingua a metà tra l’africano e lo spagnolo, incomprensibile per chi non è iniziato. Invoca i morti con un bastone detto palo e prende le sembianze degli eggun che incontra nella stanza liberi di parlare e agire. La cerimonia è arricchita da preghiere in tutto e per tutto identiche a quelle che si recitano in una comune chiesa cattolica e si fanno anche offerte propiziatrici. Se c’è bisogno di divinare il futuro o di dare risposta a domande poste dai fedeli si ricorre a noci di cocco e a conchiglie, che vengono lanciate in aria e il loro modo di disporsi al suolo viene interpretato come segno di una ben precisa volontà. Concludiamo dicendo che non si può conoscere la santeria e apprezzarla in tutto il suo apparato tradizionale se non ci si cala nella mentalità cubana. La santeria non è solo una religione, ma uno stile di vita, un modo per conoscere il mondo circostante. È una religione fatta di elementi naturali, di mare, di fuoco, vento, sole e fulmine. Il mondo è un insieme di spiriti nell’incontro tra cattolicesimo e credenze africane. Il santero è un personaggio al quale si ricorre frequentemente per dare una soluzione ai problemi del quotidiano. È un guaritore e un divinatore del futuro, un oracolo e un preparatore di amuleti. Si va da lui con la stessa facilità con cui ci si reca da un medico e spesso lo si consulta quando la medicina tradizionale non ci dà speranza. La santeria è una religione piena di vita, cosi come piena di vita è la gente di Cuba, accompagna l’esistenza quotidiana senza obbligare i praticanti a rituali pesanti, inaccettabili per la mentalità locale. Non riesco ad immaginare un cubano intento a recitare preghiere buddiste ogni giorno alle stesse ore e mi è difficile anche vederlo in una chiesa cattolica tradizionale a sgranare il rosario. La santeria invece ben si attaglia alla mentalità del posto, perché è una religione fatta di riti che danno un posto importante a tabacco e rum. E poi talvolta anche una sbronza memorabile o una frenetica danza in compagnia di una bella ragazza può far parte del rituale evocativo. A Cuba possiamo assistere a spettacoli di danze affascinanti ispirate alla vita degli orisha.

Zombie, il segreto dei morti viventi

Gli dei vudù nel pantheon del Benin. Haiti: politica e magia. Il rito del mandamorti. William Seabrook incontra i non-morti. Il terribile veleno del  pesce-palla. Scoperta la tecnica per realizzare uno zombi.
Gennaio 1996, nella sperduta repubblica africana del Benin, nel golfo di  Guinea. Il presidente Nicephoro Soglo annuncia alla popolazione che «una secolare ingiustizia è stata finalmente riparata. Il vudù, religione  tradizionale del Paese, diventa un credo ufficiale, con una propria festa,  al pari delle altre confessioni praticate in Benin, il cristianesimo e
l’islamismo. Quattrocento anni fa, proprio da queste spiagge chiamate  sinistramente Costa degli schiavi, milioni di uomini venivano strappati  alla loro terra e trascinati a forza in altri continenti, a morire nelle  piantagioni di cotone. Ma l’antica religione, il vudù, non è mai andata  perduta, e torna oggi più potente che mai…».

POLITICA E RELIGIONE AD HAITI 
Il vudù, parola che in dialetto africano significa dio, è una religione  sincretica nata durante il periodo del colonialismo dalla mescolanza delle  credenze spiritiche e animistiche delle popolazioni di colore (Malgasci,  Bantu, Dahomey, Mandinghi) deportate in America. Questo credo, che ospita  tutti gli dei delle religioni africane, è attualmente praticato ad Haiti  e Cuba, in Brasile, nelle Antille e persino in parte degli USA, con il  nome di hoodoo, presso le comunità nere della Florida e della Louisiana.  Si tratta di una religione magica. I suoi sacerdoti si chiamano hungan se  stregoni bianchi, bokor se neri. Costoro possono invocare indifferentemente gli spiriti rada, divinità benefiche del focolare, ed i  petrò, le anime demoniache. Queste ultime sono però difficilmente  controllabili, e la loro evocazione è praticata in genere solamente dai  maghi neri particolarmente abili. Questi stregoni satanisti hanno avuto,  durante la dittatura della famiglia Duvalier (Papà e Baby Doc), una  funzione politica fondamentale. I Duvalier, difatti, utilizzavano la  magia nera (o quanto meno, il terrore che essa incuteva) per sottomettere  la superstiziosa popolazione di Port-Au-Prince. La magia nera sarebbe  servita poi per scacciare dall’isola sia Baby Doc sia i marines americani  mandati dalle Nazioni Unite dopo il colpo di stato.
La più temibile stregoneria, sulla quale si basa il prestigio ed il  potere illimitato dei bokor sulla popolazione locale, è
l’oscuro e segretissimo rito del mandamorti, meglio conosciuto come la resurrezione di uno zombi.

COME FAR USCIRE LO ZOMBI DALLA TOMBA 
Tutti sanno, grazie alle fantasiose e romanzate pellicole horror di George  Romero, cosa sia uno zombi, il morto vivente resuscitato per magia e costretto ad obbedire per sempre al suo mago-padrone.
La resurrezione dello zombi è praticata solo da quei bokor che conoscono  le giuste preghiere rituali ed hanno l’animo saldo quanto basta. Per poter  resuscitare un morto, difatti, è indispensabile recarsi di notte in un  cimitero ed evocare, davanti alla lapide, un demonio. Proprio quest’ultimo  fornisce l’energia che permette al corpo morto di tornare in vita. Ma per  poter comandare lo zombi, lo stregone deve possederne l’anima, che viene  evocata, catturata ed imprigionata dentro un vaso, una specie di lampada  di Aladino il cui possesso permette al bokor di annullare la volontà del  resuscitato. Si invoca allora Baron Samedi, il signore dei cimiteri  custode delle anime, e lo si addormenta con la formula creola Do’ mi pa fumé, Baron Samedi, Dormite bene Baron Samedi. Non appena il signore dei
cimiteri abbassa la guardia, il bokor può sottrargli l’anima dello zombi, chiamandola a sé con la frase Mortoo tomboo miyi, Morto, dalla tomba, a me!
A questo punto il cadavere viene disseppellito e resuscitato. Privo della  propria anima, e quindi di volontà, lo zombi, mosso dal demonio, è ora  pronto ad eseguire, su ordinazione, qualsiasi azione, anche la più  efferata. La moderna cinematografia ha inventato moltissimi dettagli finti sugli  zombi (si dice, ad esempio, che mangino solo carne umana e che muoiano  soltanto se colpiti alla testa); l’unico resoconto fedele alle credenze  haitiane è quello dello scrittore William Seabrook, un esploratore che  negli anni Venti visse ad Haiti e ne fu in parte introdotto ai misteri. Seabrook, nel volume L’isola magica (1929), racconta: «La luna piena  saliva lentamente nel cielo, sbiancando le colline e le piantagioni di  cotone, ed io me ne stavo seduto davanti alla porta di casa con Costantino
Polinice, un fittavolo haitiano, a parlare di demoni, licantropi e vampiri. Il discorso cadde sugli zombi. Avevo sentito dire che lo zombi è un corpo privo di anima, clinicamente morto, che riacquista magicamente un’apparenza di vita puramente meccanica; un cadavere che agisce, si muove, cammina come se fosse vivo, grazie alle arti di uno stregone. Questi sceglie un cadavere sepolto di fresco che non abbia ancora avuto il tempo di decomporsi e lo sottopone ad una specie di galvanizzazione. Poi lo asservisce sia per fargli commettere qualche delitto, sia per affidargli, come capita più sovente, lavori agricoli o domestici pesanti. Non appena il morto accenna a rilassarsi, questi lo bastona come una bestia da soma. Quando ne parlai a Polinice, il mio scettico amico mi rispose: ’Creda a me, non si tratta di una superstizione. Fa parte purtroppo dei nostri usi e costumi. Sono cose vere ad un punto che voi bianchi non sospettate neppure. Lei non si è mai chiesto perché i contadini più poveri seppelliscono i loro morti sotto massicce torri di muratura? Che altro motivo vuole che ci sia se non quello di difendere i propri morti?». Seabrook prosegue citando il caso di «un vecchio negro, tale Ti-Joseph du Colombier, che un bel mattino arrivò davanti ai campi di Hasco seguito da una banda di nove straccioni dall’espressione inebetita, che avanzavano con passo strascicato. Ti-Joseph li mise tutti in fila e quelli lo lasciarono fare, restandosene con lo sguardo fisso e vuoto». Dopodiché Ti-Joseph mise gli zombi al lavoro nei campi. Quegli strani esseri, tenuti lontani dalla curiosità dei passanti, lavoravano molte ore al giorno, sotto il sole; non parlavano, non mostravano alcuna emozione e si limitavano a zappare la terra. Dormivano pochissimo e mangiavano soltanto banane bollite e scondite. Questa insolita forma di sfruttamento andò avanti molto a lungo sin che, un giorno, mentre Ti-Joseph era assente, una venditrice di pistacchi salati incontrò gli zombi ed offrì loro un po’ di cibo. Ora, secondo le tradizioni haitiane, i morti viventi possono mangiare di tutto, fuorché carne e cibo salato, pena la rottura dell’incantesimo che li mantiene in vita. «Bastò che gli zombi avvertissero il gusto del sale – prosegue Seabrook – perché si rendessero conto di essere morti. Con urla spaventose corsero verso il cimitero. Appena vi giunsero si misero a correre in mezzo alle tombe. Ciascuno, trovata la sua, si diede subito a raspare alacremente le pietre e la terra per potervi entrare. Al primo contatto con i loro sepolcri, vi caddero di peso, già carogne in putrefazione…». L’episodio più impressionante citato da Seabrook come autentico è però il suo faccia a faccia con uno zombi. «Un pomeriggio, alla luce del sole, io e Polinice percorrevamo il sentiero che porta a Picmy. Rallentando all’improvviso l’andatura del suo cavallo, Polinice mi indicò, sul fianco della montagna, a un centinaio di metri da noi, una terrazza pietrosa ove tre uomini e una donna stavano vangando la terra in mezzo a piante di cotone. La prima impressione sugli zombi fu strana; certo non appartenevano all’ordine naturale delle cose. Lavoravano come bruti, come automi…Polinice toccò la spalla di uno zombi e questi girò docilmente il viso. Quel che vidi, benché fossi preparato, mi colpì profondamente e ne provai un senso di nausea. Non crediate che fossi sotto l’effetto di una suggestione, erano davvero gli occhi di un morto, non di un cieco. Erano fissi, spenti, privi di sguardo. Tanto bastava per rendere orrendo il volto, profondamente vuoto, come se dentro non avesse nulla. Non è sufficiente dire che era senza espressione…In seguito mi convinsi che quegli zombi non dovevano essere altro che dei mentecatti, degli idioti cronici sfruttati per il lavoro nei campi. Era una spiegazione razionale. Ma la storia non doveva concludersi qui. Giorni dopo mi trovai a parlarne con il dottor Antoine Villiers, uno spirito scientifico ferreo e pragmatico, che mi disse: ’Non credo affatto che sia possibile resuscitare i morti. Non credo alla resurrezione di Lazzaro e nemmeno a quella di Cristo. Tuttavia, non sono sicuro che nella questione degli zombi non ci sia sotto qualcosa di orribile. Penso sia il caso di parlare di stregoneria criminale‘. E così facendo mi mostrò una pagina del codice penale di Haiti che diceva: Articolo 249. Sarà imputato di omicidio chiunque somministri al suo prossimo sostanze che, senza essere letali, siano suscettibili di provocare un sonno letargico più o meno lungo. Chi poi seppellisca la persona che abbia assorbito tale sostanza, verrà imputato di omicidio…»

LA MAGICA POLVERE DEI BOKOR
E forse il segreto degli zombi è proprio nella somministrazione di «sostanze capaci di causare un sonno letargico». L’antropologo americano Wade Davis, autore del libro Il serpente e l’arcobaleno (da cui è stato tratto anche un film), sostiene di avere scoperto il trucco utilizzato dai bokor per trasformare gli esseri umani in zombi. Questi spruzzano nelle narici delle loro vittime, ben vive, una polvere giallastra capace apparentemente di causare una morte istantanea. Questa polvere, che Davis ha fatto analizzare da una società farmaceutica statunitense, contiene tetrodotossina, un veleno che si estrae dal pesce palla haitiano, capace di paralizzare i centri nervosi. A questa droga i bokor mescolano sostanze tanto inutili quanto folkloristiche, come terra di cimitero e polvere di penne di gallo nero, giusto per creare un po’ di scena. Quindi la spruzzano contro la vittima. Questa cade in catalessi e, data per morta, viene sepolta. E, terrorizzata, assiste cosciente al proprio funerale e alla propria inumazione, senza potersi muovere!
Proprio quest’ultima traumatica esperienza, unita ad una buona dose di superstizione, distrugge la lucidità mentale della vittima, che finisce con il perdere la ragione, cadendo in uno stato di autismo perenne e continuato.
Quando la notte stessa il bokor disseppellisce il malcapitato e lo rianima somministrandogli un antidoto la cui ricetta non è stata ancora scoperta, questi, ormai muto e semideficiente, si crede effettivamente un morto risorto. E si rassegna a questa nuova esistenza di schiavitù e lavoro. Negli anni Settanta la televisione francese riuscì addirittura ad intervistare un ex-zombi che era riuscito a riconquistare sia la libertà che parte della ragione (il che si verifica assai raramente). L’uomo, un certo Narcisse Clovis, viveva comunque in una clinica psichiatrica, non avendo smaltito del tutto gli effetti deleteri della droga dei bokor.
Sebbene la medicina occidentale sia riuscita a spiegare in parte il segreto della trasformazione in zombi, Davis ha dichiarato, nel 1987: «La polvere zombi ed il suo ingrediente attivo, al tetrodotossina, sono oggetto di studi negli Stati Uniti ed in Europa; pure, la dinamica con cui la polvere agisce rimane un mistero…».

Un antico rituale per invocare la Pioggia

Sin dall’ antichità si attribuisce a maghi, streghe, druidi e sacerdoti il potere di controllare il tempo atmosferico, comandare le tempeste, incatenare il vento, ecc…Questa che segue è un rituale base per attirare la pioggia, comune in molti paesi europei.

Quasi sempre veniva eseguito in riva ad uno stagno o ruscello, si raccoglieva l’ acqua in un calderone e poi la si agitava con dei rametti. Mentre agitavano l’acqua, le streghe invocavano lo spirito della pioggia chiedendo abbondanti piogge per la fertilità dei campi. Successivamente, con i rametti, si mescolava il liquido per nove volte in senso orario e subito dopo per nove volte in senso antiorario. Poi scuotevano l’ acqua ancora e ripetevano il processo per tre volte. Si spruzzava l’ acqua nell’ aria come se stesse effettivamente piovendo. Il rituale veniva ripetuto in sequenze dispari (1-3-7-9-13…). Il rito veniva concluso gettando l’acqua del calderone sulla terra.

Da li a poco si era certi che la pioggia sarebbe giunta abbondante. Se nei giorni successivi la condizione meteorologica desiderata non si presentava, il rito veniva ripetuto ancora, cercando di soddisfare gli spiriti della natura con i giusti tributi.

Questa è la struttura di base dell’ antico rituale, che presente varianti nei diversi paesi, per esempio in alcune tradizioni era richiesto che le fanciulle operanti fossero vergini, o che l’ acqua venisse versata sul corpo di una vergine; i nomi degli spiriti e delle divinità erano differenti a seconda dei costumi del popolo. Il rito poteva presentare l’ aggiunta di ingredienti che avevano il potere di attrarre le nubi ect…

Io ho personalmente provato questo rituale tempo fa, adattandolo alle mie credenze. Ho invocato l’ aiuto di Odino, in quanto divinità associata al vento, alla pioggia e alla magia.

Altri metodi tradizionali che aiutano ad attrarre nubi e piogge sono:

bruciare l’ erica
rompere accidentalmente i funghi
bruciare foglie di felci
bagnare dei cristalli di rocca ed esporli all’ aria aperta

fonte: http://anticastregoneria.wordpress.com/2012/02/05/antico-rituale-per-provocare-la-pioggia/